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lunedì 18 gennaio 2010

Docetismo

Spina Christi
16 - Docetismo

Non fui in grado di stimare il tempo e il luogo in qui questo grande quadro - 200 cm d'altezza per 260 di lunghezza- fu dipinto. La tecnica pittorica è infatti piatta, volutamente spenta, quasi priva di tratti e pennellate, neanche fosse una stampa di poco valore; soltanto in un punto si fa vibrante, e sembra prender vita.

Su un terreno smosso di fango secco, tondeggiante come la cima di una collina, è raffigurata la scena della crocifissione - Gesù e i due ladroni sulle tre croci, le dame piangenti alla loro destra, i soldati sull'altro lato, e -sparsi e distanti- i pochi discepoli spaventati.

La scena è "raffigurata", dicevamo, ed invero è questo il termine giusto: che grazie ad una prospettiva leggermente angolata rispetto all'asse della scena, possiamo vedere la finzione che la sorregge.
Ogni gruppo di persone non è nel quadro che una sagoma dipinta su del legno sottile, tagliato e traforato, sostenuta da dietro da un paletto a far da cavalletto.
E di colori sbiaditi e piatti è anche il cielo, con le sue nuvole sfumate d'arancione e contornate di nero; piatto e fermo, finto, immobile.

L'unico polo in cui il quadro si faceva vivo, attorno al quale il colore cessava di essere una palude stagnante per divenire una fresca sorgente era lui: dritto, in piedi, col corpo di ossa e di carne palpabili, unico uomo vero in un vuoto di finzione scenica. Giuda l'Iscariota, con il cappio ancora intorno al collo, cercava insistentemente attorno a sé il respiro del suo maestro d'un tempo, dei suoi ex-compagni, dei suoi complici e della sua vittima.

Cercava, quasi volendo negare a sé stesso di essere l'unico, di essere il solo rimasto, di essere vittima egli stesso di un meccanismo dagli ingranaggi grandi, più grandi, talmente più grandi di lui.

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