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venerdì 8 gennaio 2010

Dittico - Il Sonno e la Morte

Spina Christi
6 - Dittico - Il Sonno e la Morte

I due quadri - due tele dipinte ad olio, larghe 60 cm ed alte 130, la cui sommità terminava in un semicerchio, come a ricordare un arco a tutto sesto - erano congiunti tramite due cerniere di legno, simili ad un cardine; li si sarebbe potuti chiudere e trasportarli, come la custodia di un violoncello. Dietro i dipinti nessuna decorazione - soltanto un legno laccato, nero lucido, proteggeva le tele, ed a chiudere i quadri pareva di trovarsi di fronte a una piccola bara.
Ma una volta aperti, i lavori parevano piuttosto delle finestre, una bifora con vista su una strada nell'impero degli incubi dell'umanità.
In entrambi, il soggetto era il Cristo, crocefisso. In entrambi, il paesaggio era scarno, quasi non esistente, un terreno di ocre impastate coperto da un cielo nero, in cui altri neri tramavano assieme ai grigi volute circolari di fumo stantio.
Il Cristo, col medesimo volto, quasi colorato di viola e azzurro, teneva la testa alta, guardando con fare sicuro l'osservatore del quadro, impaziente di morire per poter trasmettere il suo messaggio. Ciò che distingueva un quadro dall'altro era la modalità della crocifissione, o, si potrebbe dire, il grado di morte raggiunto.
In quello di sinistra si poteva notare la forza, la vitalità delle braccia di Gesù, legate (e non inchiodate!) ai bracci della croce da più giri di corda, scemare, fino a svanire e farsi secchezza, aridità nel ventre; sotto lo straccio che gli copriva la vergogna, pendevano immote e bianche le ossa dello scheletro, disegnate con una gelida precisione anatomica.  Interessante notare come anche le gambe fossero legate, non da corde ma bensì da catene; una treccia di catene sottili, d'argento - tanto fini quanto infrangibili.
Il risultato cromatico era una sorte di ellisse polarizzata, i cui due fuochi erano rispettivamente la bocca e il pube del Salvatore, una dialettica fra logos e carne il cui discorso formava ed era composto dal corpo dell'uomo.
A fare da controcanto c'era la parte destra del dittico: il volto di Gesù pareva emergere dal legno; sotto, le fibre dei muscoli si irrigidivano fino a confondersi con la croce, ed i nodi di quest'ultima stringevano a tal punto la carne da divenire tutt'uno con essa. La croce lo aveva vinto, la morte lo aveva forse annullato, cancellando di lui ciò che lo differenziava dal resto del mondo?
Certamente, era quello che entrambi volevano. Ma anche in quell'ultimo attimo, e forse solo in quell'ultimo attimo, dalla bocca del cristo fioriva una fiammata, e dov'era un tempo la sua forza maschile brillava una macchia di sangue; entrambe forti dello stesso rosso, brillante, disperato, vivo. Così sul medesimo albero si sarebbero potuti cogliere i frutti dell'albero della scienza e dell'albero della vita, le luci d'oriente e d'occidente.
Così l'uomo che avesse fatto dei due l'Uno avrebbe messo fine al mondo, e fatto di sé il Regno.

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