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mercoledì 15 aprile 2015
"Odiavamo il vecchio feudatario, e fummo noi a soffiare sul fuoco del rancore popolare, sperando che la chiassosa libertà portasse poi ad una giustizia più elevata. Ma poi abbiamo visto coi nostri stessi occhi il grossolano odio della rivolta contadina, la fame di distruzione fine a sè stessa, il cieco desiderio di rovesciare ogni cosa, livellando nello stesso pantano sia l'ingiustizia che la bellezza o le conquiste dello spirito.
Ah! La rivoluzione è il lusso della gioventù. L'esperienza degli anni toglie senza alcuna pietà la convinzione di essere nel giusto."
lunedì 17 dicembre 2012
I fulmini sul corpo d'Europa
Per possedere Europa, Zeus aveva preso le sembianze di un toro bianco, ma lei gli resistette. Zeus infine si tramutò in aquila, e sotto questa forma violentò Europa.
Il toro sa essere forte e fiero, ma le fiamme del suo temperamento sono tenute a bada dall'essere vicino alla terra. E' la terra a renderlo mansueto: il toro la ama, e in cambio lei le dona la pace, quella pace piena che non è semplice armistizio, ma il dolce silenzio che segue l'appagamento delle brame.
Il toro sa essere forte e fiero, ma le fiamme del suo temperamento sono tenute a bada dall'essere vicino alla terra. E' la terra a renderlo mansueto: il toro la ama, e in cambio lei le dona la pace, quella pace piena che non è semplice armistizio, ma il dolce silenzio che segue l'appagamento delle brame.
L'aquila invece è insaziabile, è posseduta da una voracità crudele ed irrefrenabile, proprio perchè se ne sta nei cieli più alti e distanti. L'aquila sceglie le sue prede con fredda precisione, e piomba loro addosso con la freddezza chirurgica di un calcolo che non ammette errore.
La nobiltà del toro sta proprio nell'umiltà, quell'umiltà che manca alla sprezzante e superba aquila. Ma - crudelta del destino! - è proprio questa mancanza a decretare la vittoria dell'aquila e a far soccombere il toro.
Alla fine, Europa non si concede al toro, ma cede alla forza dell'aquila.
Alla fine, Europa non si concede al toro, ma cede alla forza dell'aquila.
Quante volte ancora dovrà avverarsi questa profezia? Quante aquile hanno posseduto con la forza Europa, e quante ancora violenteranno il suo corpo?
martedì 4 settembre 2012
Tempo, vento e convinzioni
Il decorso di un rovesciamento
La corrosiva corrente del tempo non conosce sosta: prima intacca, poi rovina, infine ribalta. Non c'è cosa che gli sfugga, nemmeno quelle più solide ed apparentemente eterne; neppure le idee!
Siamo talmente ancorati alle nostre convinzioni da ritenerle immutabili; ma la loro durata di vita in genere non supera un paio di secoli. In casi molto rari raggiungono età millenarie, ma non per questo la loro durata è illimitata.
Il processo con cui le convinzioni vacillano ed affondano è straordinariamente costante; possiamo articolarne le fasi come segue.
1. L'idea è condivisa da chiunque. E' talmente ben stabilita da non sembrare nemmeno un'idea: è piuttosto un fatto, un aspetto evidente della realtà. Nessuno è contrario all'idea, nessuno nemmeno concepisce la possibilità di pensare diversamente. Pensare contrariamente sarebbe un palese errore, un'assurdità insensata, come potrebbe esserlo negare la forza di gravità.
2. L'idea comincia ad incrinarsi appena, ma rimane comunque forte e diffusissima. Alcuni individui cominciano ad osteggiarla: sono persone più intelligenti della media, o forse soltanto più sensibili.
Queste prime sentinelle del ribaltamento rimangono invariabilmente isolate, e la loro voce rimane inascoltata.
La maggioranza rimane attaccata alla consuetudine, e si difende dal cambiamento, che teme come traumatico e disastroso. Reagiscono anche aggressivamente, ma mancando il segno: di fatto non contrastano il cambiamento, ma si accaniscono soltanto contro i profeti che lo annunciano.
3. La fine dell'idea comincia ad intravedersi. Dapprima pochi, poi sempre più persone, iniziano a seguire le dottrine eretiche, cristallizzandosi attorno alle posizioni di quelli che furono i primi annunciatori del ribaltamento.
Come se fosse all'opera una forza magnetica, più gente aderisce alla nuova idea, e sempre più altre persone vengono attirate nella loro orbita.
4. La popolazione è spaccata in due: una parte vuole frenare il cambiamento, sostenendo che è un errore, l'inizio della fine; l'altra invece acclama a gran voce la venuta del nuovo, per sostituire il vecchio ormai da gettar via.
5. Ormai quella che fu l'idea imperante è divenuta l'opinione della minoranza. Gli stessi che un tempo avversavano il cambiamento, ora si ergono a paladini della nuova idea, forti dell'appoggio della maggior parte della gente, fustigando senza pietà chi comunque la pensa ancora alla vecchia maniera.
6. La nuova idea è condivisa da chiunque, e nessuno più la pensa alla vecchia maniera: non avrebbe nemmeno senso, sarebbe un palese errore. Alla fine, siamo tornati al punto 1, solo in maniera simmetrica.
Topografia della morale
Assegnare al cambiamento le etichette di "bene" o "male" è un giudizio legato al tempo ed al proprio schieramento in un dato momento in uno dei due lati del ribaltamento.
"Bene" è la propria idea di appartenenza, "male" quella degli altri.
Nella visione d'insieme, "bene" è l'idea di maggioranza.
Alcuni esempi
A. La schiavitù è passata da un idea accettata ad un male da condannare. E' facile oggi riconoscere che la schiavitù non è un bene: è facile, perché ormai tutti la pensano così.
Ma quando invece era un sistema stabilito e riconosciuto da tutti, ben pochi la trattavano come se fosse una cosa maligna ed inumana!
B. Nei tempi passati l'omosessualità è stata osteggiata e ripudiata dalla società; ora invece viene sempre più riconosciuta ed accettata, ed al contrario si osteggiano atteggiamenti omofobi o di semplice chiusura.
Viene spontaneo dire che questo processo è un bene, un bel segnale di progresso e di civiltà.
Ma se voi sareste nati e cresciuti cent'anni fa, vedere lo stato attuale probabilmente vi avrebbe fatto rizzare i capelli dallo sconcerto!
Lo stesso succederebbe senz'altro se vi capitasse di venir catapultati di cent'anni nel futuro.
Fate attenzione: di solito si ritiene che i cambiamenti che hanno portato fino allo stato corrente siano il "progresso"; ma eventuali altri cambiamenti che conducono al futuro vengono interpretati come "degenerazione".
Il cambiamento non è una scala che porta sempre più vicina al bene, ma puro e semplice mutamento. Siamo noi che, con un punto di vista limitato e incentrato su noi stessi, siamo convinti di essere il culmine del progresso, il punto più alto di una scala ascendente che porta fino a qui.
Lo stesso vale anche nei confronti delle altre culture: quelle più rigide della nostra ci appaiono come arretrate ed eccessivamente ristrette; ma non per questo quelle più disinibite ci sembrano più avanzate!
Al contrario, ci sembrano troppo lascive, immorali.
In maniera egoista, la pietra di paragone siamo noi stessi; noi siamo automaticamente nel giusto, e tutto ciò che si discosta è sbagliato per un motivo o per l'altro.
C. Rispetto all'anno mille, il potere della Chiesa Cattolica è andato progressivamente scemando, con una particolare accelerazione negli ultimi cinquant'anni. Di conseguenza, sempre più voci si levano contro la Chiesa.
Non è la loro opinione contraria ad indebolire la Chiesa, ma è l'indebolimento della Chiesa a permettere e richiamare la protesta.
Non sono predatori che attaccano una preda, ma avvoltoi che sentono il puzzolente richiamo di un cadavere.
E' facile, troppo facile unirsi adesso al carrozzone dei ribelli dell'ultima ora, quando ormai si è già raggiunta la quinta fase!
Il termine "ribelle" è qui usurpato: spetterebbe piuttosto alla persona che avesse avuto la forza ed il coraggio di ribellarsi alla Chiesa nell'anno mille.
Significato della suscettibilità
E' degno di nota che già il solo fatto di considerare come relativo il valore di un idea consolidata possa sembrare un attacco contro la stessa.
Gli esempi non sono scelti a caso, ma rappresentano alcune delle idee su cui la popolazione è più sensibile, dato che il loro insediamento è ancora in fase di assestamento.
Sono certo che i più sensibili, leggendo questi pochi esempi, avranno letto fra le righe le infamanti colpe di razzismo, omofobia o bigotteria. Accuse dello stesso tipo si potrebbero collezionare se si sfiorasse in modo simile argomenti come il femminismo, o la libertà d'espressione, o i diritti umani.
Il vero senso di questa reazione è da ricercarsi in una necessità dell'animo umano di professare la propria idea, al fine di ricercare tramite l'ostentazione quella sicurezza intima che lo spirito ancora non ha raggiunto.
Non è superfluo ripetere che in questa sede non si esprime un'opinione, ma al limite una meta-opinione, un opinione sulle opinioni stesse. Vale la pena ripeterlo: ogni opinione è per definizione basata su un punto di vista personale, e quest'ultima è pesantemente influenzata dalle correnti di pensiero dominanti in un dato luogo e periodo.
Rapporti fra realtà materiale e simbolo
E' davvero il tempo a far cedere un'idea, lasciando spazio al cambiamento? O è il cambiamento a sostituire la vecchia idea, segnando col suo corso il fluire del tempo?
E' una domanda senza senso. I cambiamenti materiali sono lo strumento con cui avvengono i cambiamenti dell'idea; ma se l'idea non fosse pronta per cambiare, non ci sarebbero strumenti materiali di sorta in grado di scardinarla!
L'utilità del male
Nella quinta fase la fine dell'idea è ormai prossima e certa, ma c'è ancora qualcuno che si ostina a rimanerle fedele.
Gli esempi sono rari, ma ben noti: le ultime guardie che rimangono al servizio del re anche dopo che è stato condannato a morte, oppure coloro che continuano a pregare gli dèi dei padri anche quando tutti si sono convertiti alla nuova religione.
Il loro è un esempio di coerenza o soltanto ottuso immobilismo? Rimangono convinti della propria idea, o è solo paura di accettare il cambiamento?
La maggioranza li odia, perché sono la testimonianza vivente del passato che ora tutti hanno rinnegato, ma che un tempo abbracciavano ciecamente; ed anche l'idea dominante, che ora è salda e sicura, un tempo è stata la follia di una minoranza di reietti, come lo sono ora loro.
E proprio qui sta il loro valore: un monito evidente che le opinioni umane si piegano docilmente ed inconsapevolmente, assecondando di volta in volta la direzione del vento del tempo.
Anche quelle che ci sono più care; anzi, forse soprattutto quelle.
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venerdì 15 giugno 2012
L'uomo e l'ingranaggio
L'emblema della Repubblica Italiana raffigura una stella a cinque punte sovrapposta ad una ruota dentata.
E' un emblema, e non uno stemma araldico: manca infatti l’elemento essenziale dello scudo, rendendo la raffigurazione più simile ad un logo corporativo o ad un marchio di fabbrica. E’ una rottura voluta con la tradizione, nell'ottica del pensiero proiettato al futuro, figlio o forse nipote dell'illuminismo.
La ruota dentata rappresenta il progresso ottenuto tramite il lavoro, sull’aria del noto incipit della costituzione: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La stella poi è uno dei simboli storici dell’Italia, nella sua personificazione di Italia turrita e stellata; secondo l’interpretazione riportata dallo stesso quirinale:
“La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell'Italia, sul cui capo essa splende raggiante. Così fu rappresentata nell'iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l'appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese.”
Si potrebbe intravedere una parentela morfologica fra il cerchio merlato della corona turrita e il cerchio raggiato della ruota dentata, come se la prima fosse in un certo senso la madre dell’altra.
Anche la stella che le si accosta sembra esser la stessa, ma a ben vedere anche qui è intervenuta una trasformazione, che ha ridotto il numero delle punte da sei a cinque.
La stella sopra la cinta muraria richiamava la stella della sera, che portò Enea da Troia caduta alle coste italiane. Passando da sei a cinque stelle, la stella scende però dal cielo per arrivare al piano terreno. Ora la stella non è più sopra le mura, ma al centro dell’ingranaggio.
La stella a cinque punte è un simbolo sovraccarico di significati, ma fra tutti quello più vivo è il rimando all’uomo.
Nell'emblema della repubblica, la stella-uomo è sovrapposta al meccanismo, sembra quasi crocifissa su esso. Ricorda l’operaio del film Metropolis, alle prese con il macchinario che non gli dà tregua.
Non è più l’uomo ad esser servito dalle macchine, ma viceversa!
L’ingranaggio non è solo la raffigurazione del mondo del lavoro, o della tecnica: è un simbolo concreto della mancanza di volontà. Tutto ciò che è meccanico avviene automaticamente, senza l’intervento di decisioni da parte dell’uomo; un mero automa, senza coscienza o libero arbitrio.
Anche lo stemma della DDR richiama il mondo del lavoro: ma qui è il martello a farla da padrone, simbolo della volontà che muove la forza del braccio, dell’impatto che conferisce alla materia la forma concepita nella mente del fabbro.
E' un emblema, e non uno stemma araldico: manca infatti l’elemento essenziale dello scudo, rendendo la raffigurazione più simile ad un logo corporativo o ad un marchio di fabbrica. E’ una rottura voluta con la tradizione, nell'ottica del pensiero proiettato al futuro, figlio o forse nipote dell'illuminismo.
La ruota dentata rappresenta il progresso ottenuto tramite il lavoro, sull’aria del noto incipit della costituzione: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La stella poi è uno dei simboli storici dell’Italia, nella sua personificazione di Italia turrita e stellata; secondo l’interpretazione riportata dallo stesso quirinale:
“La stella è uno degli oggetti più antichi del nostro patrimonio iconografico ed è sempre stata associata alla personificazione dell'Italia, sul cui capo essa splende raggiante. Così fu rappresentata nell'iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana e ancora oggi indica l'appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese.”
Si potrebbe intravedere una parentela morfologica fra il cerchio merlato della corona turrita e il cerchio raggiato della ruota dentata, come se la prima fosse in un certo senso la madre dell’altra.
Anche la stella che le si accosta sembra esser la stessa, ma a ben vedere anche qui è intervenuta una trasformazione, che ha ridotto il numero delle punte da sei a cinque.
La stella sopra la cinta muraria richiamava la stella della sera, che portò Enea da Troia caduta alle coste italiane. Passando da sei a cinque stelle, la stella scende però dal cielo per arrivare al piano terreno. Ora la stella non è più sopra le mura, ma al centro dell’ingranaggio.
La stella a cinque punte è un simbolo sovraccarico di significati, ma fra tutti quello più vivo è il rimando all’uomo.
Nell'emblema della repubblica, la stella-uomo è sovrapposta al meccanismo, sembra quasi crocifissa su esso. Ricorda l’operaio del film Metropolis, alle prese con il macchinario che non gli dà tregua.
Non è più l’uomo ad esser servito dalle macchine, ma viceversa!
L’ingranaggio non è solo la raffigurazione del mondo del lavoro, o della tecnica: è un simbolo concreto della mancanza di volontà. Tutto ciò che è meccanico avviene automaticamente, senza l’intervento di decisioni da parte dell’uomo; un mero automa, senza coscienza o libero arbitrio.
Anche lo stemma della DDR richiama il mondo del lavoro: ma qui è il martello a farla da padrone, simbolo della volontà che muove la forza del braccio, dell’impatto che conferisce alla materia la forma concepita nella mente del fabbro.
L’ingranaggio del meccanismo non può che eseguire quello per cui è stato costruito: girare continuamente su sé stesso, dato che la sua libertà è limitata da un perno prefissato. E l’ingranaggio è anche simbolo di mancanza d’importanza rispetto al macchinario complessivo.
Anche la stella, e l’uomo che rappresenta, gira insensatamente su sé stessa, senza capire nemmeno il suo ruolo all’interno del grande meccanismo; e i tasselli dell’ingranaggio sembano denti che ne straziano la carne.
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mercoledì 21 dicembre 2011
Brontolata - usiamo solo il 10% del cervello
C'è una frase fatta che senz'altro vi sarà capitato di sentire, e forse anche di dire: "Usiamo solo il 10% del nostro cervello". Di solito segue l'antifona "Provate a immaginare di cosa saremmo capaci se lo usassimo al 100%!"
E via a immaginare telecinesi, telepatia, poteri fenomenali come curare con la mente, e altre amenità.
Già che siamo in tema di usare il cervello: chissà se almeno il 10% delle persone che ripete a pappagallo questa frase si chiede chi l'abbia detta per primo, come sia stato scoperto questo fatto, o semplicemente se esso sia vero o no!
Ma la vera domanda è: che senso ha?
Che importa parlare di quantità in un campo dove la cosa veramente importante è la qualita?
Si potrebbe trasportare questo modo di vedere in varie altre situazioni!
Quando guidate una macchina, la usate soltanto al 33%: di tre pedali che avete a disposizione, non ne usate mai più di uno alla volta! Pensate se potessimo premerli tutti e tre assieme: magari la macchina si metterebbe a volare, o addirittura si teletrasporterebbe a destinazione!
Quando guidate una macchina, la usate soltanto al 33%: di tre pedali che avete a disposizione, non ne usate mai più di uno alla volta! Pensate se potessimo premerli tutti e tre assieme: magari la macchina si metterebbe a volare, o addirittura si teletrasporterebbe a destinazione!
E guardiamo un pianista mentre suona: usa un magro 5% del pianoforte, perchè di 88 tasti non ne preme in genere che quattro o cinque contemporaneamente! Pensate invece che melodie fantastiche ne uscirebbero se il musicista potesse premere l'intera tastiera contemporaneamente!
Insomma, non importa QUANTO cervello usiamo, ma COME lo usiamo: e ciò vale anche quando ripetiamo frasi fatte senza preoccuparci se siano vere o meno.
martedì 5 aprile 2011
"Privacy" - dietro la maschera dell'intimità
1. Una delle correnti psichiche che in questi anni soffiano sulle braci delle nostre preoccupazioni ed angosce è la questione della privacy.
Il termine si traduce, negli effetti pratici, in un'acuita, se non eccessiva, sensibilità all'intromissione altrui nella propria vita riservata. Ne è derivato un intrigo normativo con la funzione di tutelare (o meglio, di rassicurare) i segreti della vita intima di ognuno dai tanto temuti quanto indefiniti occhi indiscreti altrui. E' solo in apparenza un paradosso che da queste leggi protettive sia di fatto derivato un ulteriore aggravarsi della paura di veder violata la propria "privacy", fino a raggiungere livelli di paranoia patologici.
E' evidente che nella 'privacy' di tutti noi è contenuto un segreto così sordido da farci tremare all'idea che qualcuno ne venga a conoscenza.
Cosa può esserci di tanto fuori dalla norma e dalla morale comune nascosto nel cuore dell'uomo qualunque? Che genere di mostruosi segreti può nascondere una casalinga di mezz'età, o un giovane avvocato, un falegname prossimo alla pensione o un studente al primo anno di università?
Forse qualche amore infedele, un sentimento di ribellione, qualche imbroglio, o un attimo di bassezza dello spirito culminato in un atto di cui vergognarsi: banalità, banalità, nient'altro che banalità.
Abbiamo paura che qualcuno venga ad indagare nella nostra vita nascosta: ma poi, chi verrebbe ad indagare nei nostri piccoli e noiosi segreti? A che scopo impicciarsi nei nostri oscuri affari da poco conto?
Forse abbiamo paura che qualcuno scopra che anche nel nostro intimo siamo così banali? Che nel Sancta Sanctorum dei nostri segreti non c'è custodito che del ciarpame da quattro soldi? Lo nascondiamo agli altri o lo nascondiamo a noi stessi?
2. -OMISSIS-
3. Spesso si giustifica la rivendicazione della 'privacy' con la tematica del controllo: il governo, o le grandi ditte multinazionali, o qualche altra entità vista come malevola controlla infatti molto meglio una popolazione se la conosce, se è in possesso di molti dati dettagliati riguardo i singoli individui.
Ma conoscere il singolo individuo sarebbe una precauzione inutile: è molto più semplice ed efficiente conoscere il comportamento della massa, del popolo nella sua interezza.
La volontà della massa è molto, molto più malleabile dalle parole e dalle immagini rispetto a quella d'un individuo.
Oltretutto esser conosciuti non ci mette in potere di chi ci conosce, vale anzi l'opposto. Conosciamo tutto della vita dei re, dei capi di governo e di chi ci comanda: ma non per questo possiamo alcunché contro di loro. E' proprio tramite il fatto che noi li conosciamo che loro possono comandarci (ciò a patto di non indugiare in quel genere di fantasie che vede dietro ogni evento della storia un potere occulto, celato dietro le quinte).
Di contro, si pensi al cittadino anonimo d'una delle tante città dell'Impero: pochi lo conoscono o sanno chi sia, ma non per questo ha più libertà d'azione. Anzi, proprio per questo conta ben poco nei giochi del potere.
martedì 15 marzo 2011
L'igiene come mania nella società
Ci sono, nella particolare congiunzione spirituale che si è venuta a formare da una decina d'anni a questa parte, delle tendenze all'inasprimento delle norme sanitarie, in particolar modo negli esercizi pubblici, accompagnate da un'insistenza sull'igiene personale inculcata da educazione e pubblicità commerciali. Non indagheremo sull'ipotesi che vi siano o meno interessi di tipo economico-politico sottostanti: se anche vi fossero resta il fatto che si può imporre qualcosa alla massa solo se in essa c'è un elemento preesistente pronto a ricevere tali imposizioni.
E davvero la mania dell'eccesso di igiene non è un elemento nuovo: nasce dall'effettivo bisogno istintivo di preservare la salute evitando possibili situazioni di contagio. Ma la troviamo, velata, anche nella storia dei popoli: nelle religioni della purezza rituale. Ricorderemo l'ebraismo, con il suo enorme numero di norme igieniche - sia mateiali che spirituali; le abluzioni dei riti dell'Islam; le purificazioni delle dottrine orientali; il battesimo cristiano.
Si potrebbero tracciare numerosi paralleli:
- fra le abluzioni prima di entrare in un tempio e l'igiene personale
- fra il tempio e il proprio corpo
- si potrebbe considerare l'igiene come il mantenimento di uno stato di isolamento, una chiusura dal mondo esterno, in cui la "sporcizia" simboleggia l'influenza del mondo esterno sulla nostra psiche- similmente si potrebbe guardare all'igiene come ad una proiezionei sul piano materiale (un esternazione, e quindi un allontanare da sè) del sentimento di "sporcizia" spirituale.
Si potrebbe andare avanti; ogni similitudine è una prospettiva diversa sul medesimo simbolo.
E' anche interessante sottolineare come vi sia una polarità psichica relativa a questi fatti: ciò che è fortemente sacro spesso confina con l'immondo, e viceversa - si veda come vengono considerati i topi e i porchi nel corso della storia nelle religioni dei vari popoli del Mediterraneo; o si pensi anche al culto del fallo, anch'esso sempre in bilico fra adorazione e ripugnanza; e come il cibo e le bevande sacre possano dare la morte a chi non è preparato a riceverli - dal sangue di bue all'eucaristia cristiana.
Finchè un simbolo è vivo, non è riconoscibile: lo può vedere solo chi è uscito dalla sua inflienza, chi è uscito dal vortice che lo trascinava.
Riguardo l'eccessiva attenzione all'igiene odierna, possiamo dire che psicologicamente è positiva in quanto fornisce una valvola di sfogo ad elementi di insoddisfazione e malessere che altrimenti potrebbero manifestarsi in maniera più distruttiva. Dubito che possano venir facilmente compresi dalla massa i motivi che causano queste manie - dubito anzi che ciò sia persino possibile. Perchè il fenomeno cessi le cause devono cessare, per altri motivi, o manifestare i loro effetti tramite altri canali.
Fino a quel momento la nostra società sarà prigioniera dell'eccesso di igiene, assieme ad altre "manie", disagi proiettati in comportamenti sociali quali la carità, il perbenismo ed altre "genuine" ipocrisie. Stabilire se ciò sia bene o male è una scelta delicata, e forse stolta.
Nei risvolti fisici invece l'eccesso di igiene non può che essere negativo: simile negli effetti ad una madre troppo premurosa che soffoca la volontà di un figlio, imprigionandolo nell'infanzia; renderà debole il corpo, incapace di affrontare ogni benchè minimo avversità.
E davvero la mania dell'eccesso di igiene non è un elemento nuovo: nasce dall'effettivo bisogno istintivo di preservare la salute evitando possibili situazioni di contagio. Ma la troviamo, velata, anche nella storia dei popoli: nelle religioni della purezza rituale. Ricorderemo l'ebraismo, con il suo enorme numero di norme igieniche - sia mateiali che spirituali; le abluzioni dei riti dell'Islam; le purificazioni delle dottrine orientali; il battesimo cristiano.
Si potrebbero tracciare numerosi paralleli:
- fra le abluzioni prima di entrare in un tempio e l'igiene personale
- fra il tempio e il proprio corpo
- si potrebbe considerare l'igiene come il mantenimento di uno stato di isolamento, una chiusura dal mondo esterno, in cui la "sporcizia" simboleggia l'influenza del mondo esterno sulla nostra psiche- similmente si potrebbe guardare all'igiene come ad una proiezionei sul piano materiale (un esternazione, e quindi un allontanare da sè) del sentimento di "sporcizia" spirituale.
Si potrebbe andare avanti; ogni similitudine è una prospettiva diversa sul medesimo simbolo.
E' anche interessante sottolineare come vi sia una polarità psichica relativa a questi fatti: ciò che è fortemente sacro spesso confina con l'immondo, e viceversa - si veda come vengono considerati i topi e i porchi nel corso della storia nelle religioni dei vari popoli del Mediterraneo; o si pensi anche al culto del fallo, anch'esso sempre in bilico fra adorazione e ripugnanza; e come il cibo e le bevande sacre possano dare la morte a chi non è preparato a riceverli - dal sangue di bue all'eucaristia cristiana.
Finchè un simbolo è vivo, non è riconoscibile: lo può vedere solo chi è uscito dalla sua inflienza, chi è uscito dal vortice che lo trascinava.
Riguardo l'eccessiva attenzione all'igiene odierna, possiamo dire che psicologicamente è positiva in quanto fornisce una valvola di sfogo ad elementi di insoddisfazione e malessere che altrimenti potrebbero manifestarsi in maniera più distruttiva. Dubito che possano venir facilmente compresi dalla massa i motivi che causano queste manie - dubito anzi che ciò sia persino possibile. Perchè il fenomeno cessi le cause devono cessare, per altri motivi, o manifestare i loro effetti tramite altri canali.
Fino a quel momento la nostra società sarà prigioniera dell'eccesso di igiene, assieme ad altre "manie", disagi proiettati in comportamenti sociali quali la carità, il perbenismo ed altre "genuine" ipocrisie. Stabilire se ciò sia bene o male è una scelta delicata, e forse stolta.
Nei risvolti fisici invece l'eccesso di igiene non può che essere negativo: simile negli effetti ad una madre troppo premurosa che soffoca la volontà di un figlio, imprigionandolo nell'infanzia; renderà debole il corpo, incapace di affrontare ogni benchè minimo avversità.
venerdì 11 marzo 2011
Eredità
Fioriscon sulle tombe
dei soldati i gigli.
dei soldati i gigli.
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martedì 8 marzo 2011
Ciò che rimane
Gli eroi diventan lapidi
ed i soldati terra.
ed i soldati terra.
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venerdì 4 marzo 2011
Leggi e dimensioni
All'aumentare di dimensioni di un sistema aumenta la rigidità delle regole che lo disciplinano.
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martedì 1 marzo 2011
La "storia" personale - predestinazione e predisposizione
Sembra esserci a livello inconscio, in ogni uomo, un'idea di sè stessi, che condiziona la vita e le scelte dell'individuo.
Può esserci, per esempio, colui che ha un'immagine di sè come di un uomo giusto, ma che viene tradito dagli altri: egli accrescerà a dismisura, a livello di percezione interna, ogni minimo screzio con gli altri, chiudendo gli occhi sule proprie responsabilità e sui propri errori - ciò, si badi bene, sempre non coscientemente.
Oppure ancora vi potrebbe essere colui che ha l'immagine di sè come di un uomo che viene abbandonato da tutti: costui sorvolerà, quasi non se ne accorgesse, sulle amicizie e sulle manifestazioni di affetto nei suoi confronti, ed eleverà piuttosto ad emblema ogni caso che gli fornisca un pretesto per confermare le sue idee; ciò sempre nella buona fede della coscienza.
Dunque questa immagine agisce da filtro, se non da distorsione, nel passaggio fra mondo esterno e psiche; ma anche come condizionamento all'interno: come una spinta inconscia a compiere azioni che in superfice sono mirate ad uno scopo, ma che "incidentalmente" portano poi ad una situazione confacente alla predisposizione.
E' normale, ed in un certo senso persino giusto, che una simile coazione venga vissuta come forza esterna: sfortuna, destino, karma, provvidenza, volontà divina, daimon...
C'è da dire inoltre che, trovandosi esterna alla coscienza, essa ha un influsso maggiore sulle persone meno "differenziate", meno distaccate dal mondo inconscio, con un'individualità meno sviluppata; viceversa, sarà minore nelle persone più autocoscienti -tenendo sempre presente tuttavia i casi in cui la differenziazione è in realtà uno sviluppo "forzato" e in cui l'inconscio, invece di essere integrato alla coscienza, fa da contraltare compensatorio, agendo come contro-forza rispetto alla coscienza: in tal caso la forza dell'immagine sarà maggiore.
Anche per questo l'immagine di sè traspare più potentenmente nella psiche degli anziani, di coloro che intraprendono il "viaggio del ritorno" dopo aver raggiunto l'apice della propria vita.
Sull'origine e il formarsi di tali immagini posso solo fare ipotesi - la causa principale pare trovarsi in esperienze infantili vissute molto profondamente, le quali lasciano un segno sugli anni futuri, un'incisione accentuata dall'abitudine.
Tale cicatrice formerà così una predisposizione associativa che interpreta e si sovrappone al mondo esterno: si può definire quindi una sorta di controparte individuale di ciò che gli archetipi junghiani sono nell'inconscio collettivo.
Può esserci, per esempio, colui che ha un'immagine di sè come di un uomo giusto, ma che viene tradito dagli altri: egli accrescerà a dismisura, a livello di percezione interna, ogni minimo screzio con gli altri, chiudendo gli occhi sule proprie responsabilità e sui propri errori - ciò, si badi bene, sempre non coscientemente.
Oppure ancora vi potrebbe essere colui che ha l'immagine di sè come di un uomo che viene abbandonato da tutti: costui sorvolerà, quasi non se ne accorgesse, sulle amicizie e sulle manifestazioni di affetto nei suoi confronti, ed eleverà piuttosto ad emblema ogni caso che gli fornisca un pretesto per confermare le sue idee; ciò sempre nella buona fede della coscienza.
Dunque questa immagine agisce da filtro, se non da distorsione, nel passaggio fra mondo esterno e psiche; ma anche come condizionamento all'interno: come una spinta inconscia a compiere azioni che in superfice sono mirate ad uno scopo, ma che "incidentalmente" portano poi ad una situazione confacente alla predisposizione.
E' normale, ed in un certo senso persino giusto, che una simile coazione venga vissuta come forza esterna: sfortuna, destino, karma, provvidenza, volontà divina, daimon...
C'è da dire inoltre che, trovandosi esterna alla coscienza, essa ha un influsso maggiore sulle persone meno "differenziate", meno distaccate dal mondo inconscio, con un'individualità meno sviluppata; viceversa, sarà minore nelle persone più autocoscienti -tenendo sempre presente tuttavia i casi in cui la differenziazione è in realtà uno sviluppo "forzato" e in cui l'inconscio, invece di essere integrato alla coscienza, fa da contraltare compensatorio, agendo come contro-forza rispetto alla coscienza: in tal caso la forza dell'immagine sarà maggiore.
Anche per questo l'immagine di sè traspare più potentenmente nella psiche degli anziani, di coloro che intraprendono il "viaggio del ritorno" dopo aver raggiunto l'apice della propria vita.
Sull'origine e il formarsi di tali immagini posso solo fare ipotesi - la causa principale pare trovarsi in esperienze infantili vissute molto profondamente, le quali lasciano un segno sugli anni futuri, un'incisione accentuata dall'abitudine.
Tale cicatrice formerà così una predisposizione associativa che interpreta e si sovrappone al mondo esterno: si può definire quindi una sorta di controparte individuale di ciò che gli archetipi junghiani sono nell'inconscio collettivo.
martedì 22 febbraio 2011
Alcune considerazioni sulla razionalità
Nella parola "razionalità" è implicito il ferimento ad un confronto fra almeno due entità.
Per questo uno "scopo ultimo" non può essere razionale: perchè uno scopo lo è solo se è utile ad un altro fine - se è un mezzo per qualcos'altro. Il fine della catena è dunque, per forza, irrazionale.
L'uomo ha un sostrato biologico; per questo non è possibile applicare logiche ferree e razionalistiche al suo agire ed essere. Anche da questo viene il fallire di sistemi sociali utopici e/o totalitari.
Tutto ciò che esiste, per lo meno in campo biologico, psicologico e sociologico, ha un suo fine, una sua motivazione - e questo non per un finalismo innato ma, se non altro, per una selezione di stampo darwiniano operata nel tempo: ciò che non svolge un compito, e ciò che non raggiunge uno scopo, viene nei secoli eliminato in quanto spreco di risorse.
Perciò è pericoloso eliminare elementi solo in vase a ragionamenti o sequenze logiche: c'è spesso, per non dir sempre, un'utilità nascosta. Un ottimo esempio è la sopressione prematura di 'superstizioni', religioni e credenze da parte di una mentalità illuministica: ne abbiamo avuto in cambio la nevrosi dell'uomo moderno, e forse anche la sua perdita di direzione e di senso.
Infatti non si possono forzare simili cessazioni: al massimo si può rischiare di trasferire gli elementi sopressi in altre manifestazioni.
Per questo uno "scopo ultimo" non può essere razionale: perchè uno scopo lo è solo se è utile ad un altro fine - se è un mezzo per qualcos'altro. Il fine della catena è dunque, per forza, irrazionale.
L'uomo ha un sostrato biologico; per questo non è possibile applicare logiche ferree e razionalistiche al suo agire ed essere. Anche da questo viene il fallire di sistemi sociali utopici e/o totalitari.
Tutto ciò che esiste, per lo meno in campo biologico, psicologico e sociologico, ha un suo fine, una sua motivazione - e questo non per un finalismo innato ma, se non altro, per una selezione di stampo darwiniano operata nel tempo: ciò che non svolge un compito, e ciò che non raggiunge uno scopo, viene nei secoli eliminato in quanto spreco di risorse.
Perciò è pericoloso eliminare elementi solo in vase a ragionamenti o sequenze logiche: c'è spesso, per non dir sempre, un'utilità nascosta. Un ottimo esempio è la sopressione prematura di 'superstizioni', religioni e credenze da parte di una mentalità illuministica: ne abbiamo avuto in cambio la nevrosi dell'uomo moderno, e forse anche la sua perdita di direzione e di senso.
Infatti non si possono forzare simili cessazioni: al massimo si può rischiare di trasferire gli elementi sopressi in altre manifestazioni.
venerdì 18 febbraio 2011
Il gufo
"Da quando muore un re non passano tre giorni e già la sua bandiera è gettata nel letame e si prega con mille moine le donne affinchè tessano un nuovo stendardo per il regno così che il popolo non resti senza guida affongando come topi nel fiume"
venerdì 11 febbraio 2011
In cerca d'un oasi
"Perchè Dio non ascolta le nostre preghiere?"
Forse è soltanto stufo, annoiato: analizzate le vostre preghiere!
Esse si compongono di lagne, se non di rimproveri velati:
Dio, perchè hai fatto morire quel tale? Dio, fa cessare la siccità! Dio, sono infelice (di ciò che mi hai dato)...
Oppure son elenchi di vostri desideri, di favori di poco conto chiesti al Dio vivente, simili ad una lista della spesa: Signore, dammi la forza, dammi la saggezza, mostrami la retta via (se mi perderò sarà quindi colpa tua), dammi questo, dammi quest'altro...
In cambio lo si loda con blandizie e sfoggi di sottomissione che non sedurrebbero il più avido di complimenti dei tiranni: Sei forte, sei potente, tua è la gloria... sempre, beninteso, se mi accordi i favori che ti ho chiesto.
"Preghiera" è addirittura diventato, nel linguaggio corrente, sinonimo di "richiesta un po' scocciante di favori"!
Possibile che non ci sia un poeta capace di comporre preghiere che non siano così meschine, noiose, così miseramente umane?
Allora forse Dio tornerebbe ad ascoltare la voce dell'Uomo che lo chiama.
Forse è soltanto stufo, annoiato: analizzate le vostre preghiere!
Esse si compongono di lagne, se non di rimproveri velati:
Dio, perchè hai fatto morire quel tale? Dio, fa cessare la siccità! Dio, sono infelice (di ciò che mi hai dato)...
Oppure son elenchi di vostri desideri, di favori di poco conto chiesti al Dio vivente, simili ad una lista della spesa: Signore, dammi la forza, dammi la saggezza, mostrami la retta via (se mi perderò sarà quindi colpa tua), dammi questo, dammi quest'altro...
In cambio lo si loda con blandizie e sfoggi di sottomissione che non sedurrebbero il più avido di complimenti dei tiranni: Sei forte, sei potente, tua è la gloria... sempre, beninteso, se mi accordi i favori che ti ho chiesto.
"Preghiera" è addirittura diventato, nel linguaggio corrente, sinonimo di "richiesta un po' scocciante di favori"!
Possibile che non ci sia un poeta capace di comporre preghiere che non siano così meschine, noiose, così miseramente umane?
Allora forse Dio tornerebbe ad ascoltare la voce dell'Uomo che lo chiama.
martedì 8 febbraio 2011
Sul voler diventar divini
E' desiderio di asceti e mistici l'esser tutt'uno con Dio, divenir Dio essi stessi; e davvero non è difficile, chè basta abbandonare tutto ciò che di umano si ha.
Eppure la tendenza di un albero è di salire verso il cielo; ma il seme di quell'albero deve cadere per fruttificare.
Che si direbbe di un seme che non vuole abbandonare il frutto, o di uno che vuole ritornare verso il cielo, rifiutando la terra?
Per cadere furono creati, per gettar radici nella sporca terra. E allora dal loro germoglio sorgerà un nuovo albero.
Eppure la tendenza di un albero è di salire verso il cielo; ma il seme di quell'albero deve cadere per fruttificare.
Che si direbbe di un seme che non vuole abbandonare il frutto, o di uno che vuole ritornare verso il cielo, rifiutando la terra?
Per cadere furono creati, per gettar radici nella sporca terra. E allora dal loro germoglio sorgerà un nuovo albero.
martedì 25 gennaio 2011
Dubbio
Quanto forte e terribilie dovrebbe essere un uomo per poter disubbidire ad un Dio onnipotente?
E se la sua disobbedienza non fosse che apparenza, da quel Dio stesso voluta?
Per quanto profonda, apparenza?
E se la sua disobbedienza non fosse che apparenza, da quel Dio stesso voluta?
Per quanto profonda, apparenza?
martedì 18 gennaio 2011
Pianto d'uno schiavo che non vuol esser schiavo
Questa società, di cui faccio finta d'esser parte...
di cui faccio parte, perchè ognuno in essa finge...
questa società che disprezza e sputa su tutti, salvo i presenti...
Più la odio e più ne sono invischiato, come un incubo che non dà respiro, ed il risveglio è un incubo peggiore...
E questa furia di combattere, di alzar bandire, di rivoltarsi contro un padrone per cadere nelle mani di un altro, non sono forse i rantoli d'una mosca che, cercando di fuggire alla tela, si consegna al ragno?
di cui faccio parte, perchè ognuno in essa finge...
questa società che disprezza e sputa su tutti, salvo i presenti...
Più la odio e più ne sono invischiato, come un incubo che non dà respiro, ed il risveglio è un incubo peggiore...
E questa furia di combattere, di alzar bandire, di rivoltarsi contro un padrone per cadere nelle mani di un altro, non sono forse i rantoli d'una mosca che, cercando di fuggire alla tela, si consegna al ragno?
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martedì 11 gennaio 2011
Maledizione di mezz'età
Ogni male viene dal desiderio
ma il male più grande è la mancanza di desiderio.
ma il male più grande è la mancanza di desiderio.
venerdì 24 dicembre 2010
Le due facce della pace
A seguir la fantasia popolare sembra che la pace sopraggiunga come il disgelo dopo un lungo inverno, un fiorire di amore e perdono che dissolve in un istante lunghi anni di rancore, odio fra fratelli e crimini inenarrabili.
La pace è invece spesso, o sempre, la ratificazione del prevalere del vincitore sul debole; i suoi termini sono umilianti per chi ha perso e ulteriore occasione di razzia di chi ha vinto; per il popolo che la subisce comporta il passaggio dalla morte per bombardamenti a quella per stenti. (Si noti che al momento di entrare in guerra è l'intera nazione a prender le armi, mentre all'avvicinarsi di una sconfitta, o in caso di una vittoria pagata troppo cara, il popolo si dissocia, negando ogni coinvolgimento ed addossando a capi e condottieri ogni responsabilità, come se fossero stati gli unici animati da volontà bellicose)
Ciò è in fondo un riflesso del principio di realtà: ogni cosa ha un suo costo e dalla guerra può nascere un vincitore, ma non di certo due.
Si può accettare una simile mesta realtà, o chiudere gli occhi ad essa e fingere con un infantile auto-inganno che non esista. Quest'ultima via ha il proprio fascino e di certo anche la sua utilità; il grande seguito che essa esercita è ben visibile nella necessità che abbiamo di chiudere col lieto fine ogni storia che si racconti
La pace è invece spesso, o sempre, la ratificazione del prevalere del vincitore sul debole; i suoi termini sono umilianti per chi ha perso e ulteriore occasione di razzia di chi ha vinto; per il popolo che la subisce comporta il passaggio dalla morte per bombardamenti a quella per stenti. (Si noti che al momento di entrare in guerra è l'intera nazione a prender le armi, mentre all'avvicinarsi di una sconfitta, o in caso di una vittoria pagata troppo cara, il popolo si dissocia, negando ogni coinvolgimento ed addossando a capi e condottieri ogni responsabilità, come se fossero stati gli unici animati da volontà bellicose)
Ciò è in fondo un riflesso del principio di realtà: ogni cosa ha un suo costo e dalla guerra può nascere un vincitore, ma non di certo due.
Si può accettare una simile mesta realtà, o chiudere gli occhi ad essa e fingere con un infantile auto-inganno che non esista. Quest'ultima via ha il proprio fascino e di certo anche la sua utilità; il grande seguito che essa esercita è ben visibile nella necessità che abbiamo di chiudere col lieto fine ogni storia che si racconti
martedì 21 dicembre 2010
Dispersi
Non facciamo che costruire strade, ma non abbiamo più un posto da raggiungere.
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