A seguir la fantasia popolare sembra che la pace sopraggiunga come il disgelo dopo un lungo inverno, un fiorire di amore e perdono che dissolve in un istante lunghi anni di rancore, odio fra fratelli e crimini inenarrabili.
La pace è invece spesso, o sempre, la ratificazione del prevalere del vincitore sul debole; i suoi termini sono umilianti per chi ha perso e ulteriore occasione di razzia di chi ha vinto; per il popolo che la subisce comporta il passaggio dalla morte per bombardamenti a quella per stenti. (Si noti che al momento di entrare in guerra è l'intera nazione a prender le armi, mentre all'avvicinarsi di una sconfitta, o in caso di una vittoria pagata troppo cara, il popolo si dissocia, negando ogni coinvolgimento ed addossando a capi e condottieri ogni responsabilità, come se fossero stati gli unici animati da volontà bellicose)
Ciò è in fondo un riflesso del principio di realtà: ogni cosa ha un suo costo e dalla guerra può nascere un vincitore, ma non di certo due.
Si può accettare una simile mesta realtà, o chiudere gli occhi ad essa e fingere con un infantile auto-inganno che non esista. Quest'ultima via ha il proprio fascino e di certo anche la sua utilità; il grande seguito che essa esercita è ben visibile nella necessità che abbiamo di chiudere col lieto fine ogni storia che si racconti
venerdì 24 dicembre 2010
Le due facce della pace
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