Per ingannar l'attesa fra un post e l'altro

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Per bon?

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lunedì 10 novembre 2014

Amo la montagna, ma non con quella dedizione assidua che tanti sanno donarle. Spesso la abbandono, me ne dimentico per mesi, salvo poi magarli sognarla all'improvviso. Allora mi prende una smania di rivederla, di percorrerne di nuovo il corpo, di bere il suo silenzio. E' una passione ipocrita: gli amanti infedeli ripagano la loro superficialità esagerando la temperatura degli sporadici episodi d'affetto.
Ero arrivato poco oltre Venzone, e avevo parcheggiato la macchina sul finire della strada che si inoltra nella val Venzonassa. C'erano nuvole nel cielo, nuvole brutte, quelle che ti minacciano come lupi: stai entrando nel nostro territorio, torna indietro, o saranno guai.
Ma era la mia domenica, la domenica in cui avevo voglia della montagna, e benchè i segni fossero palesi, scelsi di ignorarli: l'amore è cieco. Presi lo zaino ed iniziai a risalire il sentiero, tornante dopo tornante, oltre il bosco, e poi tagliando attraverso i pascoli, fino alle radici della montagna, dove la roccia si stacca dalla terra, gridando verso il cielo. Allora iniziò a piovere, ma io, come un folle, continuai a salire, arrampicandomi fra i massi accatastati alla rinfusa d'un canalone che tagliava la montagna fin quasi a lambirne la cima.
Ben presto la minaccia si mutò in violenza concreta, ed iniziarono a cadere grosse e nere gocce di pioggia, sputate con rancore; pochi secondi dopo il cielo si spezzò, e la pioggia divenne una rumorosa valanga d'acqua, un peso che schiacciava al suolo. Mi accorsi che assieme all'acqua ed ai fulmini ora cadevano anche rocce, come se le nuvole le stessero staccando dalle pareti, per scagliarle contro di me. Cercai di proteggermi la testa con le mani, pur sapendo quanto un simile scudo fosse inutile contro una forza così pesante. Fu allora che notai che anche le pietre sul suolo avevano iniziato a muoversi. In genere non lo fanno quando c'è un uomo che le guarda, ma evidentemente mi davano già per spacciato, e non avevano più alcun riguardo per la mia presenza: i morti non possono svelare segreti.
La gravità non c'entrava nulla, le rocce si muovevano di loro volontà. Nessuno mi ha creduto; anche negli occhi di coloro che fingevano di ascoltarmi riuscivo a scorgere l'ombra della derisione. "Avrai battuto la testa, o ti sarà scoppiato un fulmine vicino."
Ma invece non c'è niente di strano: l'ho capito solo dopo averlo visto, ma a pensarci bene è una cosa naturale. Quando un cacciatore sorprende la volpe, questa può trasformarsi in un tronco, o in un mucchio di foglie secche. Il topo si muta in un sassolino per sfuggire allo sguardo vorace del falco, e la cincia si fa simile alla corteccia, svanendo nel tronco dell'albero. In autunno ho persino visto usignoli volare imitando la caduta di una foglia secca dal ramo. Quando viene sorpresa dallo sguardo, insomma, la vita si ferma e finge d'essere inanimata. Quando camminiamo in un bosco, chissà quanti animali incrociamo senza accorgercene, perchè sono travestiti da sassi, funghi o radici!
Le rocce si muovevano, e mi guardavano. Non avevano occhi, ma macchie scure, eppure capivano che mi stavano osservando, e pure con una certa curiosità. Le sentii anche parlare fra loro, ma non capii cosa dicevano, perchè il loro linguaggio è fatto di suoni secchi e duri, come un vecchio che tosse.
Parlavano e si muovevano in tutta tranquillità, perchè sapevano che quelli erano i miei ultimi minuti: presto una loro compagna mi sarebbe saltata addosso dalle sponde della cima, e di me non sarebbe allora rimasta che una macchia rossa fra quegli angoli grigi.
Ma le ho fregate, la mia buona sorte ha sconfitto la collera della montagna. Non mi ricordo i dettagli: forse camminando o forse cadendo, ma in qualche modo sono arrivato quasi fino alla valle. Lì un elicottero della protezione civile mi ha raccolto, e mi sono risvegliato tre giorni dopo, nell'ospedale di Gemona. Niente di grave: qualche escoriazione, e una distorsione alla caviglia. Un prezzo leggero, se confrontato al mistero che ho potuto osservare: non capita a tutti di veder vivere la montagna, e di sopravvivere per raccontarlo.

venerdì 24 ottobre 2014



La cinciarella dal ciuffo azzurro danza attorno ai rami già stanchi dell'autunno; quando le sfiora, le foglie rosse ed oro si staccano per scivolare con grazia verso il suolo. L'erba cinge la riva del torrente, come se accarezzasse l'acqua che non può più tornare; e i pesci son sospesi in quel cristallo, ignari dell'inverno che sta per arrivare.
So che ogni cosa è destinata a passar via - le piante e gli animali, le nuvole ed il sole, anche la terra nera - eppure è anche perfetta, in armonia assoluta con ciò che deve essere, con ciò che è tutto il resto.
Soltanto noi siamo pesanti e goffi, inadeguati, così diversi da quel che ci circonda.
La nostra anima permane più a lungo delle altre, eppure è morsa dall'angoscia di finire: forse è questo il prezzo che si paga per vivere più tempo del dovuto.
Così non resta che continuare a correre, seppur senza saper mai scegliere la meta: fra ribellarci e calpestare tutto, distruggere e regnare su rovine; oppure di pregare un dio che non si vede, con voce stanca e con parole rozze, per implorare il suo perdono, per un delitto che non abbiamo mai commesso. Ah, che differenza fra il mio lamento e il canto chiaro e semplice del merlo!

mercoledì 22 ottobre 2014

L'onda frusta ruggendo sulla spiaggia: per tutta la sua vita ha corso verso riva, ma ora che è vi è giunta svanisce nella sabbia.
(Immagine: Hokusai, La grande onda)

venerdì 10 ottobre 2014

Sono tornato, dopo anni, nella cantina dei miei nonni - un luogo dove i sogni dormono, sepolti dalla polvere. C'è un mucchio di riviste di ormai vent'anni fa, legate assieme per annata; a fianco una cassetta degli attrezzi giace rovesciata, e ha riversato accanto a sè un rigagnolo di chiavi e cacciaviti. E poi, più in fondo, la grande damigiana; la paglia che fasciava la sua pancia è ormai marcita, ma il vetro nudo è verde e luminoso, come se fosse un mappamondo di acqua e di cristallo.
Poggiata allo scaffale, ormai mangiata dalla ruggine, la vecchia moto Guzzi: quanti chilometri han conosciuto le sue ruote, e quanti viaggi, quando l'asfalto qui in campagna era soltanto un lusso? Appesa alla parete la ruota d'una bici, e un vecchio quadro in cui la muffa ha fatto il nido; mobili vecchi, sedie accatastate, sacchi su sacchi di vestiti mangiati dalle tarme: è come il libro di una vita intera, in cui il tempo, con forza d'uragano, ha mescolato pagine gettando alla rinfusa i giorni e gli anni.
Mi accorgo che non vedo il pavimento, tanto è coperto da tutti questi oggetti; mi chiedo allora se lì sotto ci sia un fondo, o se con il passare delle generazioni questa cantina sia diventata un pozzo, una miniera verticale in cui si è accumulata la storia dei miei avi. Scavo con le mani: una pagella di quando il mio bisnonno era alle elementari, ed un coltello da cucina, forse in argento, ma ormai tutto annerito. Scendo, scavo ancora, come una galleria dentro ai ricordi. Man mano che mi calo, però, noto che la memoria si rende più confusa, quasi stesse cedendo alle promesse dell'immaginazione. Trovo una vanga, di un avo contadino, di cui si è perso il nome; ma anche un bottone in oro, forse di una divisa militare, chissà di quale secolo, chissà di quale guerra. E ancora, un esile rosario, avvolto attorno a un telo bianco, sottile e delicato, ed una pergamena, in cui l'inchiostro è impallidito, trasfigurando la scrittura in una nenia arcana di suoni sussurrati. E lì? La lama d'una sciabola? Ed oltre ancora, cos'è che brilla di luce rossa e cupa? Forse un rubino, o un pezzo di corallo?
Ormai sono sommerso, seppellito: il peso di tanta eredità mi grava sulle spalle, mi soffoca il respiro. Cerco di risalire, ma sento la memoria che trascina, mi chiama nell'abisso: la storia è diventata un vortice affamato. Solo a fatica, nuotando a perdifiato, riesco a riguadagnare l'aria aperta.
Esco dalla cantina, ma prima di richiudere la porta alle mie spalle mi volto ancora, un ultimo rimpianto, verso l'indietro, lì, verso il passato. Soltanto ciò che vive resta a galla: perdersi nei ricordi è il privilegio di chi già vede oltre l'ultima soglia. Ma è un canto di sirena, subdolo e tentatore: sia benedetta allora quella polvere, che copre lievemente tutto quanto, e chiude nel silenzio la memoria, come la neve che d'inverno dimentica la terra.

domenica 29 giugno 2014

Luci cadute




La fiamma è la lingua che pronuncia la nostalgia che la brace ha del cielo.

La serpe di fumo che nasce dal cuore del fuoco si avvolge strisciando attorno alla notte, salendo in silenzio, pregando con ansia: è come un bambino che spera di prendere le stelle allungando le mani.

martedì 15 aprile 2014

La bomba ha la stessa forma d'un anfora:
goccia dopo goccia, l'uomo vi ha raccolto
tutta la sua collera, tutta la sua follia.







lunedì 10 marzo 2014


Le parole son come le formiche:
all'apparenza innocue, eppure di nascosto
si ammassano e divorano;
abradono, sminuzzano, raccolgono.

mercoledì 5 marzo 2014


«Tu sei giovane, e non puoi certo ricordare, ma un tempo, quando io ero un bambino come te, faceva ancora freddo. Quando avevo cinque anni si mise persino a nevicare. Fu l’ultima volta, ma mio padre mi disse che ai suoi tempi era frequente.»
«Cos’è nevicare?»
«E’ come una specie di pioggia, ma fredda e bianca. E’ soffice, e si può prendere in mano.»
«Dai nonno, non prendermi in giro!»
«So che non puoi crederci, ma è la pura verità. Poi è venuto il caldo, sempre più caldo. Non nevicava più, e pian piano anche l’inverno si scordò di tornare. Ricordo ancora l’ultima volta che mia madre accese il fuoco nel camino.»
«Ecco, vedi? Ti stai prendendo gioco di me! Lo sanno tutti che il fuoco non esiste!»
«Il fuoco divenne inutile, perchè faceva sempre più caldo. Al posto del tepore del focolare, la gente cercava il riparo dell’ombra. Quando il calore si alzò ulteriormente, smettemmo di cuocere la carne, ed iniziammo a nutrirci soltanto di frutta e di verdura crude. Allora i filosofi dissero: “Il fuoco è morto!”
All’inizio quest’affermazione fece scalpore: un tempo senza fuoco si sarebbe morti di freddo. Ma ora non serviva più, ed anche lo scandalo della sua morte fu presto dimenticato. La gente non ne parlava più, semplicemente non gli interessava; e ben presto finirono col credere che non sia mai esistito, e si convinsero che era una cosa inventata dalla fantasia, una superstizione di tempi passati ed ignoranti.»
«E com’era, il fuoco?»
«Oh, era caldo, e faceva male a toccarlo. Ma era bellissimo, rosso come il sangue, e si muoveva sempre, come se fosse vivo. Sembrava un grande fiore...»
«Un fiore vivo? Mordeva?»
«Beh, si. Mangiava, e bisognava dargli in pasto legna secca. Ma se ti avvicinavi troppo ti prendeva, e rischiavi di finir divorato a tua volta!»
«Ma allora è un bene che non ci sia più! Però mi piacerebbe vederlo, magari da lontano. Dimmi, nonno, il fuoco non può più tornare?»
«Ci sono due correnti di pensiero: i poeti dicono che verrà nuovamente il grande freddo, e che dovremo cercare dov’è finito il fuoco, e supplicarlo di tornare da noi. Gli studiosi invece sostengono che i giorni si faranno sempre più caldi, finchè il sole sarà talmente forte da incendiare i prati, le case, ed anche gli uomini. In quel caso sarà il fuoco a tornare di sua spontanea volontà, e la sua assenza non sarebbe che la preparazione del suo tremendo ritorno: ma saranno giorni terribili, di morte e disperazione.»
«Speriamo che tutto resti com’è ora!»

sabato 1 marzo 2014


"Credo in un Dio malevolo, creatore d'una terra difettosa, in un tiranno che riserva a sè primizie e perfezioni, e quando dona scarti e avanzi pretende gratitudine."

martedì 11 febbraio 2014



Stringimi le mani:
sognavo di cadere.
Scendiamo nell'abisso
assieme, assieme.

Làsciati trascinare:
la vera dannazione
non è perdere il sole
ma vivere lontani.


L'inverno soffia un brivido nell'anima:
Come la scintilla che corre sul filo del rasoio
Come il tintinnio della sciabola del boia
Come il vento che corre sopra la schiena nuda
Fischiando nelle vertebre come se fosse un flauto