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venerdì 10 ottobre 2014

Sono tornato, dopo anni, nella cantina dei miei nonni - un luogo dove i sogni dormono, sepolti dalla polvere. C'è un mucchio di riviste di ormai vent'anni fa, legate assieme per annata; a fianco una cassetta degli attrezzi giace rovesciata, e ha riversato accanto a sè un rigagnolo di chiavi e cacciaviti. E poi, più in fondo, la grande damigiana; la paglia che fasciava la sua pancia è ormai marcita, ma il vetro nudo è verde e luminoso, come se fosse un mappamondo di acqua e di cristallo.
Poggiata allo scaffale, ormai mangiata dalla ruggine, la vecchia moto Guzzi: quanti chilometri han conosciuto le sue ruote, e quanti viaggi, quando l'asfalto qui in campagna era soltanto un lusso? Appesa alla parete la ruota d'una bici, e un vecchio quadro in cui la muffa ha fatto il nido; mobili vecchi, sedie accatastate, sacchi su sacchi di vestiti mangiati dalle tarme: è come il libro di una vita intera, in cui il tempo, con forza d'uragano, ha mescolato pagine gettando alla rinfusa i giorni e gli anni.
Mi accorgo che non vedo il pavimento, tanto è coperto da tutti questi oggetti; mi chiedo allora se lì sotto ci sia un fondo, o se con il passare delle generazioni questa cantina sia diventata un pozzo, una miniera verticale in cui si è accumulata la storia dei miei avi. Scavo con le mani: una pagella di quando il mio bisnonno era alle elementari, ed un coltello da cucina, forse in argento, ma ormai tutto annerito. Scendo, scavo ancora, come una galleria dentro ai ricordi. Man mano che mi calo, però, noto che la memoria si rende più confusa, quasi stesse cedendo alle promesse dell'immaginazione. Trovo una vanga, di un avo contadino, di cui si è perso il nome; ma anche un bottone in oro, forse di una divisa militare, chissà di quale secolo, chissà di quale guerra. E ancora, un esile rosario, avvolto attorno a un telo bianco, sottile e delicato, ed una pergamena, in cui l'inchiostro è impallidito, trasfigurando la scrittura in una nenia arcana di suoni sussurrati. E lì? La lama d'una sciabola? Ed oltre ancora, cos'è che brilla di luce rossa e cupa? Forse un rubino, o un pezzo di corallo?
Ormai sono sommerso, seppellito: il peso di tanta eredità mi grava sulle spalle, mi soffoca il respiro. Cerco di risalire, ma sento la memoria che trascina, mi chiama nell'abisso: la storia è diventata un vortice affamato. Solo a fatica, nuotando a perdifiato, riesco a riguadagnare l'aria aperta.
Esco dalla cantina, ma prima di richiudere la porta alle mie spalle mi volto ancora, un ultimo rimpianto, verso l'indietro, lì, verso il passato. Soltanto ciò che vive resta a galla: perdersi nei ricordi è il privilegio di chi già vede oltre l'ultima soglia. Ma è un canto di sirena, subdolo e tentatore: sia benedetta allora quella polvere, che copre lievemente tutto quanto, e chiude nel silenzio la memoria, come la neve che d'inverno dimentica la terra.

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