La maggiorparte dei turisti parcheggia nello spiazzo prima del paesino, per scendere il lungo sentiero che porta dalla collina a picco ad una delle spiagge più belle dell'isola di Cherso.
Ma entrando fra le case, oltre la piazza con il bar sul belvedere, oltre la konoba che effonde come un prosaico incensiere l'odore dei gnocchi con sugo d'agnello, oltre la collina con il telescopio a gettone,
oltre il piccolo cimitero c'è una chiesetta, bianca, tranquilla, d'un riposo che confina con la dimenticanza.
Entrando c'è un altare scolpito nel legno dall'ingenuità e dipinto con la stessa delicatezza con cui si zappa la terra.
Ma la prima cosa che colpisce il visitatore è il profumo mistico che avvolge l'intera chiesa; proprio sull'altare, più semplice d'una candela e con più forza mistica d'un incenso, uno stoppino brucia in un bicchiere dell'olio d'oliva, di quegli ulivi strappati con pazienza di secoli alle rocce ed al vento salato.
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domenica 8 agosto 2010
Lubenica
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giovedì 8 luglio 2010
PIĆAN
Anche l'uomo sa colorare la luce
Al costo però di perdere, di consumare un po' di luce ad ogni passaggio
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sabato 3 luglio 2010
Orlec
In quei luoghi il sole sa imporre il silenzio, appiattendo con violenza sulle rocce chiunque avesse la cattiva idea di uscire dal proprio riparo da mezzogiorno alle quattro del pomeriggio. E' così che nei luoghi aridi la cultura si forma attorno a un'alternanza di lavoro e periodi di assoluto riposo- un'inattività consapevole, un segno di rispetto verso la maestosa potenza dell'estate.
Tutto questo per dire che, in segno di rispetto verso la maestosa fiacca estiva, il presente blog va in semi-ferie!!!
Non si chiude, ma di tanto in tanto pubblicherò delle foto con un commento buttato lì, tanto per far credere alla gente che le vede che dietro ci sia chissà quale ricerca filosofica o mistica.
Cominciamo con una delle farfalle che veniva spesso in visita alle lavande di un orto di Orlec:
Le ali della farfalla riescono a colorare la luce, come il vetro di una vetrata
ma quell'occhio
Tutto questo per dire che, in segno di rispetto verso la maestosa fiacca estiva, il presente blog va in semi-ferie!!!
Non si chiude, ma di tanto in tanto pubblicherò delle foto con un commento buttato lì, tanto per far credere alla gente che le vede che dietro ci sia chissà quale ricerca filosofica o mistica.
Cominciamo con una delle farfalle che veniva spesso in visita alle lavande di un orto di Orlec:
Le ali della farfalla riescono a colorare la luce, come il vetro di una vetrata
ma quell'occhio
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venerdì 16 aprile 2010
Crescente
Troncato d'oro e d'azzurro, al crescente cimato di una croce latina attraversante, il tutto d'argento". (Riconosciuto con Decreto del capo del Governo in data 31 gennaio 1929)
Gli storici dicono che lo stemma araldico di Gradisca d'Isonzo sta a significare il suo essere baluardo contro le incursioni dei turchi nel XV secolo; ma a me piace immaginare che esso sia nato e cresciuto così:
una singola casa, un'avamposto della civiltà quasi perduto fra la pianura e i colli
le prime famiglie che pian piano s'ingrandiscono, formando per ingrandimenti e divisioni, come le cellule d'un embrione, un piccolo villaggio
una piccola borgata cinta da muri per chiudere fuori le bestie e gli uomini selvatici
la prima chiesa, attorno cui la comunità si cristallizza
come un seme pronto a germogliare il paese si apre come esplodendo sotto una spinta interna
si è aperta al desiderio come un bocciolo a primavera
Come potrebbe crescere questo stemma nei secoli a venire?
Nello stemma di famiglia degli Eggenberg possiamo vedere come la croce, se lasciata crescere, si dirami, e forse nei secoli potrebbe metter foglie, portar fiori e magari donarci anche frutti!
Ma se tornasse la paura di quei stranieri, di quei nemici tornati a vestire la maschera di feroci predatori turchi, potrebbe anche recidersi la croce dalla luna, la pianta dalle sue radici (come già si vede in un piccolo mosaico nella colonna del leone di S. Marco in piazza Unità)
Ed allora alla croce non resterà che la scelta fra l'appassire ed il mutersi in spada, rivolta a quella luna che un dì l'ha portata nel grempo e poi l'ha nutrita, ed ora sotto i suoi colpi è una rossa ferita.
riguardo alla luna:
potrei parlarvi di calice eucaristico, dell'antica dea madre, dell'utero e delle fasi lunari, dell'argento e di mille altre cose ancora; ma vi dirò che nel 1622 Ferdinando II d'Asburgo concesse a Gradisca di fregiarsi nella parte inferiore dello stemma di Bellona, la dea della guerra, in onore del coraggio delle sue donne, che non fuggirono durante gli assedi della guerra di Gradisca ma rimasero a prestare il loro aiuto durante le battaglie
Per capire meglio tale simbolo è utile far visita nella cappella di S. Ggiovanni Battista dove si può vedere un quadro del 1706, ad opera del lombardo Giulio Quaglio: la Madonna, adorata dai santi, tiene sotto il suo piede la luna crescente e montante, attorno a cui si avvolge una serpe; fra le sue braccia sostiene Gesù bambino che con la croce si accinge a schiacciare, quasi infilzare il serpente nemico.
Gli storici dicono che lo stemma araldico di Gradisca d'Isonzo sta a significare il suo essere baluardo contro le incursioni dei turchi nel XV secolo; ma a me piace immaginare che esso sia nato e cresciuto così:
una singola casa, un'avamposto della civiltà quasi perduto fra la pianura e i colli
le prime famiglie che pian piano s'ingrandiscono, formando per ingrandimenti e divisioni, come le cellule d'un embrione, un piccolo villaggio
una piccola borgata cinta da muri per chiudere fuori le bestie e gli uomini selvatici
la prima chiesa, attorno cui la comunità si cristallizza
come un seme pronto a germogliare il paese si apre come esplodendo sotto una spinta interna
si è aperta al desiderio come un bocciolo a primavera
Come potrebbe crescere questo stemma nei secoli a venire?
Nello stemma di famiglia degli Eggenberg possiamo vedere come la croce, se lasciata crescere, si dirami, e forse nei secoli potrebbe metter foglie, portar fiori e magari donarci anche frutti!
Ma se tornasse la paura di quei stranieri, di quei nemici tornati a vestire la maschera di feroci predatori turchi, potrebbe anche recidersi la croce dalla luna, la pianta dalle sue radici (come già si vede in un piccolo mosaico nella colonna del leone di S. Marco in piazza Unità)
Ed allora alla croce non resterà che la scelta fra l'appassire ed il mutersi in spada, rivolta a quella luna che un dì l'ha portata nel grempo e poi l'ha nutrita, ed ora sotto i suoi colpi è una rossa ferita.
riguardo alla luna:
potrei parlarvi di calice eucaristico, dell'antica dea madre, dell'utero e delle fasi lunari, dell'argento e di mille altre cose ancora; ma vi dirò che nel 1622 Ferdinando II d'Asburgo concesse a Gradisca di fregiarsi nella parte inferiore dello stemma di Bellona, la dea della guerra, in onore del coraggio delle sue donne, che non fuggirono durante gli assedi della guerra di Gradisca ma rimasero a prestare il loro aiuto durante le battaglie
Per capire meglio tale simbolo è utile far visita nella cappella di S. Ggiovanni Battista dove si può vedere un quadro del 1706, ad opera del lombardo Giulio Quaglio: la Madonna, adorata dai santi, tiene sotto il suo piede la luna crescente e montante, attorno a cui si avvolge una serpe; fra le sue braccia sostiene Gesù bambino che con la croce si accinge a schiacciare, quasi infilzare il serpente nemico.
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lunedì 11 gennaio 2010
Vipavski Stari Grad
Più di dieci anni fa, una domenica mattina, salimmo la collina sopra il paesino sloveno di Vipava, per visitare i resti del vecchio castello.
I ruderi sovrastavano la valle, come delle scheggie d'osso conficcate fra la vegetazione, torri di pietra possenti traforate dal vento dei secoli.
Sul sentiero trovammo una grotta con un inghiottitoio, sul fondo del quale ribolliva la corrente d'acqua del fondovalle, sangue arterioso delle forti montagne più a nord.
Salendo ulteriormente giungiemmo alle rovine; dopo una breve ispezione trovammo incisa sulla pietra d'angolo un simbolo: una coppa, come sospesa a mezz'aria, in mezzo a due angeli alati che ad essa protendevano le mani, senza toccarla.
Subito sotto era incisa una swastika- a giudicare da com'era consumata la pietra attorno all'incisione, pareva sia stata scolpita assieme alla coppa - probabilmente molto prima della seconda guerra mondiale, forse anche nel secolo passato.
Ripassammo le incisioni con un stecco annerito dal fuoco, ma ci dimenticammo - forse presi dalla stanchezza- di fotografarle. Ieri - dieci anni più tardi - ritornammo alle stesse rovine, sopra lo stesso paese; pesanti nuvole grigie venivano di tanto in tanto trafitte da raggi di sole.
Dopo una bella camminata fra i boschi arrivammo al castello; rispetto a dieci anni fa non aveva più soltanto le mura interne e quelle esterne, ma si era aggiunto un altro giro di fortificazioni tutto attorno, anch'esse in rovina.
Cercammo l'iscrizione, e la trovammo, nello stesso punto di dieci anni fa; ma sorprendentemente l'iscrizione era cambiata!
La coppa era diventata uno scudo. Dapprima ci sembrò che sullo scudo vi fosse incisa una croce; ma ad un più attento esame il braccio superiore della croce si allargava a metà, formando un triangolo retto, i cui due lati terminavano negli angoli superiori dello scudo.
Sopra lo scudo c'erano due punte; più che una corona sembravano due denti, o due corna. Quel che doveva esser stato il gambo del calice era ormai un insieme incoerente di segni. Sotto lo scudo, alla sinistra, c'era un cerchio; sull'altro lato, alla stessa altezza, una croce.
Persino gli angeli erano spariti: era lo scudo stesso ad essere alato- ma le sue ali erano stilizzate, spigolose, taglienti - come due lame di coltello, o due elitre di cavalletta.
Non c'era la swastika, ma sopra lo scudo c'era scolpito un teschio, con le tibie incrociate - l'emblema della morte. Attorno allo scudo le lettere M e B - gli occhi e la bocca del teschio sembravano esser stati cancellati dalle intemperie.
Ripassammo le incisioni e le fotografammo, e decidemmo di tornare giù in paese.
Sulla strada del rientro, dentro i resti di quella che dev'essere stata una postazione di guardia esterna, trovammo una grossa pietra e la ribaltammo per controllare se avesse o meno iscrizioni; non ve ne trovammo alcuna, ma sotto la pietra c'era un lucido ed agile ragno nero, e una larva di cetonia, bianca e grassa.
I simboli sono di facile lettura, ed è nella natura dell'uomo che con l'età il ricettivo del calice si tramuti nella difesa di uno scudo; lo scudo protegge ciò che si ha, e il vecchio segno alchemico indicante i metalli inciso su esso è segno che questa difesa è di natura nobile, e non meschina.
Le stesse ali dello scudo rivolgono la loro minaccia verso l'esterno, come chi ha qualcosa di prezioso da proteggere (mentre era nella natura degli angeli di cercare, rivolti verso il calice!) - lo stesso si può dire della corona di denti/corni, emblema di quel potere che si risveglia nel capretto che in aprile diventa ariete.
E' inutile dilungarsi sui significati di cerchio e croce - ma è molto utile soffermarsi a meditare su essi.
Da principio mi aveva inquietato la scomparsa di quel simbolo di rinascita continua, circolare, ch'è la swastika, ed il comparire del teschio: ma grazie a Dio questo non ha nè occhi per vedere, nè bocca per divorare; le lettere M e B le leggo come Morte Buona, l'inverno della chiusura, che ha in sè la promessa della primavera - il sinonimo lineare della circolarità della croce solare.
Dieci anni fa nel calice della terra trovammo le acque profonde; ora sotto la pietra tombale della terra trovammo il ragno e la larva (e si noti quanto la cetonia, una volta adulta, assomigli al nostro scudo!): la tomba che la pietra proteggeva infatti era la terra stessa, una terra nera, grassa e fertile; a primavera la madre/ragno darà i suoi figli, e la larva diverrà un individuo adulto.
Entrare nel calice è come l'avvolgersi nella seta della crisalide; essere dietro lo scudo è come attendere lo schiudersi dell'uovo.
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