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mercoledì 20 gennaio 2010

Epilogo

Spina Christi
Epilogo

I vecchi vetri delle strette finestre si colorano del pallore dell'alba, ed alle mie spalle s'apre la porta della chiesa: il suo guardiano mi fa un cenno e so che devo lasciarla, devo tornare alle valli e non sarò più in grado di ritrovare la strada che porta a questa chiesa senza altari, persa fuori dai tempi e dai luoghi degli uomini.

Nel breve corso di questa lunga notte non sono riuscito a guardare che un decimo dei quadri incastonati in queste pareti; ma tanto basti: ognuno d'essi era in fondo uno specchio, e descrivendoli tutti non farei altro che elencare delle descrizioni di me stesso, visto da diverse angolazioni.

martedì 19 gennaio 2010

Il grido di Gesù in croce

Spina Christi
17 - Il grido di Gesù in croce

Su una grande pergamena- alta un metro per 60 cm, ingiallita da almeno cent'anni passati- erano stati graffiati dei segni di china nera, come con rabbia, ma di una lucidità tale da rasentare la follia: una tempesta di incisioni, più simile ad una scherma diabolica che alla pittura. Si sarebbe detto a prima vista che l'intero quadro fosse stato disegnato in pochi minuti, come di getto, se non fosse stato per lo studio delle armonie che reggeva la composizione, dove ogni minimo tratto di china era indispensabile e non avrebbe potuto che essere li dove il folle autore lo aveva posato.

Una croce, un flusso di grida oscure, quasi un torrente d'odio e di paure, divideva il campo del foglio; su essa il Cristo era avvolto come un soldato nel filo spinato, contorto, dilaniato dal destino che lui stesso s'era preparato. Le sue braccia erano secche, e il volto scompariva sotto i capelli, come a volerlo celare dall'odore della morte; le gambe erano ossa incapaci di muoversi, ricoperte di pelle grinzosa.

Ma il suo torace era vivo, anzi era la Vita: aperto, spalancato, come esploso, la pelle ormai divenuta schegge di rovere, le costole simili al ghigno d'un demone che non conosce altro che fame.

E lì, dove la tempesta era più intensa, lì c'era l'unica nota di colore del quadro: un piccolo globo rosso, fragile ed immutabile più sogno che materia, eppure più reale della stessa realtà.

lunedì 18 gennaio 2010

Docetismo

Spina Christi
16 - Docetismo

Non fui in grado di stimare il tempo e il luogo in qui questo grande quadro - 200 cm d'altezza per 260 di lunghezza- fu dipinto. La tecnica pittorica è infatti piatta, volutamente spenta, quasi priva di tratti e pennellate, neanche fosse una stampa di poco valore; soltanto in un punto si fa vibrante, e sembra prender vita.

Su un terreno smosso di fango secco, tondeggiante come la cima di una collina, è raffigurata la scena della crocifissione - Gesù e i due ladroni sulle tre croci, le dame piangenti alla loro destra, i soldati sull'altro lato, e -sparsi e distanti- i pochi discepoli spaventati.

La scena è "raffigurata", dicevamo, ed invero è questo il termine giusto: che grazie ad una prospettiva leggermente angolata rispetto all'asse della scena, possiamo vedere la finzione che la sorregge.
Ogni gruppo di persone non è nel quadro che una sagoma dipinta su del legno sottile, tagliato e traforato, sostenuta da dietro da un paletto a far da cavalletto.
E di colori sbiaditi e piatti è anche il cielo, con le sue nuvole sfumate d'arancione e contornate di nero; piatto e fermo, finto, immobile.

L'unico polo in cui il quadro si faceva vivo, attorno al quale il colore cessava di essere una palude stagnante per divenire una fresca sorgente era lui: dritto, in piedi, col corpo di ossa e di carne palpabili, unico uomo vero in un vuoto di finzione scenica. Giuda l'Iscariota, con il cappio ancora intorno al collo, cercava insistentemente attorno a sé il respiro del suo maestro d'un tempo, dei suoi ex-compagni, dei suoi complici e della sua vittima.

Cercava, quasi volendo negare a sé stesso di essere l'unico, di essere il solo rimasto, di essere vittima egli stesso di un meccanismo dagli ingranaggi grandi, più grandi, talmente più grandi di lui.

domenica 17 gennaio 2010

L'inverno nero di Cristo

Spina Christi
15 - L'inverno nero di Cristo

Lo stile del tratto e certi accorgimenti stilistici fanno pensare che l'autore sia lo steso del dipinto precedente - anche le dimensioni e la cornice del quadro sono le stesse. Lo schema compositivo dei due era poi talmente simile che si sarebbe addirittura potuto sovrapporli: si potrebbe pensare che i due formino una coppia concettuale, ma chi oserebbe accostare due gusti così stridenti?

Si, anche questo quadro era dominato dalla croce centrale, nelle stesse misure: ma nessun fiore spezzava la tetra notte, nessuna vertigine di colori era baciata dal sole, nessuna gioia si levava in volo. Sulla croce, avvolta da una luce verde-giallastra che sembrava promanare da essa,  il Cristo imperava, e visto dal basso verso l'alto pareva quasi assiso su un trono di gloria inumana; le sue mani non erano inchiodate, ma appoggiate sul lato superiore delle braccia della croce, e l'intero suo corpo sembrava fluttuare a mezz'aria, senza peso.
Un brivido di orrore e fascino intrecciati era il corpo del Cristo: il colore della pelle era quello dell'acciaio, i suoi muscoli tesi e lisci, la sua forza invincibile.
Il suo sguardo, insostenibile, era teso all'orizzonte, privo di ogni minimo interesse per ciò che lo circondava; non aveva paura, non conosceva amore.

Accanto a lui, cerchi e cerchi di gente, non lanciati in danze ma immobilizzati dalla paura e dal fascino. Erano inginocchiati, umiliati, vestiti di grigio, identici gli uni agli altri, in un numero immenso ed incalcolabile.
Soltanto prostrati sarebbero potuto rimanere al cospetto del loro signore (e veramente la sua presenza portava timorosa gioia in loro): chi avesse osato alzarsi sarebbe stato travolto dalla potenza eterna del Re Cristo, e come una foglia nel vento si sarebbe perso.

E così prostrati rimanevano i fedeli, e ferma, in attesa, la folla adorante:  davvero, ricordavano i disegni che fa la limatura di ferro orientata da un forte magnete.

sabato 16 gennaio 2010

Il Cristo del Solstizio d'Estate

Spina Christi
14 - Il Cristo del Solstizio d'Estate

Un quadro di 60 cm d'altezza per 70 di larghezza, una tela in una cornice scura, con dei modesti fregi dorati d'intorno.
In mezzo a tanto nero, all'oscurità dominante degli altri quadri, colpiva immediatamente l'esplosione di tanti colori, sapientemente incoronati l'uno nell'altro. Ed il tema del dipinto era gioioso, talmente solare da donare alla spiritualità con cui era intrecciato un profumo popolare, quasi pagano.
Al centro, certo, c'era il figlio di Dio, sulla croce - come al solito, come sempre. Ma la croce, ed il corpo stesso del Salvatore, erano coperti di fiori, sia spontanei che a modo di decorazione. Non v'era frivolezza: l'insieme portava piuttosto alla mente un'antica casa, o una lapide dimenticata, che sia stata divorata da rose selvatiche o dalle viole d'aprile, o stretta dal glicine o dal profumato gelsomino.
Sotto il mare di Fiori, Gesù è vivo - e l'autore lo rendeva noto coi stizziti contrasti cromatici del corpo che si intravede fra i fiori, un corpo che è pur sul confine dell'essere nient'altro che un contorno.  Ma non cedeva all'idea di divenire un simbolo, egli voleva vivere: sotto il mare di fiori, il corpo annaspava, quasi affogava ma senza mai resa - era vivo.
Attorno alla croce, benedetti dal cielo sereno, danzavano giovani e anziani, uomini forti e donne discinte, stringendo nella mano fiaschi di vino e i frutti della terra, cibi, fiori, e la mano dell'amato; i loro piedi scalzi alzavano i petali dei fiori del prato confondendoli con le farfalle e i colorati uccelli che carezzavano in volo l'erba. Danzavano formando tre cerchi attorno alla croce: ognuno di loro era il petalo di una gigantesca corolla, che proteggeva e dava slancio allo stame attorno a cui ruotava: la croce, ultimo anelito di questa vita, e futura speranza.
Dall'alto, con lo sguardo e col sorriso, Gesù benediceva i suoi fedeli - ma il suo sorriso era guastato da un'ombra incerta: ricordava un condottiero che, giunto all'apice del cammino, veda dinnanzi a sé il declino, e tuttavia non voglia guastare la speranza incosciente di chi, dietro, lo segue.

venerdì 15 gennaio 2010

La deposizione

Spina Christi
13 - La deposizione

Un sottile cartoncino di 70 per 55 cm, graffiato da tratti essenziali - in cui ogni pennellata si riduce ad una scaglia di luce; il colore - forse tempere, ancora vive e lucenti- era usato alla maniera di quell'ottocento europeo che già iniziava a vedere oltre la superficie e le apparenze della realtà.

Su uno sfondo scuro, due figure diafane, quasi assenti, reggevano il corpo del Cristo ormai morto.
I due erano simili, quasi uguali si sarebbe detto - vestiti rozzamente, a malapena coperti da una tunica grigio-marrone, lo sguardo rivolto a terra; era uno strano connubio di tristezza troppo profonda e indifferenza, mancanza di coscienza. Il loro volto e la loro testa priva di capelli, rasata da poco, mostravano i tratti somatici delle popolazioni semite - ma essendo il capo reclinato in avanti, la loro faccia ricordava più una scultura d'ombre che un ritratto.
Sopra le spalle, appoggiato con entrambe le braccia attorno al collo dei due portatori, era Gesù, bianco come la morte, il suo respiro divenuto immobile, ogni suo muscolo pietra.
Persino le sue ferite, il suo sangue, era d'un grigio appena più scuro.

Osservato da distante, il quadro rivelava, attraverso la sua immobilità, la sua natura ed origine architettonica: i corpi dei due uomini erano disposti a formare la figura di una bifora (e la disposizione di ogni pennellata era disposta, orientata, ad esser fibra della struttura) e questa sorreggeva un arco ad unirla e proteggerla al tempo stesso - il Cristo.

Ma qualcosa non quadrava in questa apparente armonia; la chiave di volta infatti era troppo, troppo pesante per i due uomini, ed ogni loro passo in avanti sarebbe parso l'ultimo prima della caduta- la loro spina dorsale spezzata dall'immane carico.
Pareva che il buio intorno a loro urlasse, "Ricada su di voi il suo sangue!" Eppure le esili, umane figure, continuavano a reggersi in piedi, nonostante la condanna divina per una colpa che umana non era; com'era possibile?

Forse - ma è orribile pensarlo, e terribile dirlo - era il Cristo a sorreggere loro- come delle marionette mosse da un burattinaio.

giovedì 14 gennaio 2010

Gesù crocifisso fra l'indifferenza

Spina Christi
12 - Gesù crocifisso fra l'indifferenza

Anche per questo quadro ciò che subito balzava all'attenzione era la modernità del pensiero e della tecnica che l'aveva creato- era infatti dipinto ad aerografo, su un cartoncino molto spesso, alto 100 cm e largo 250.

La stessa scena rappresentata era palesemente uno scorcio degli ultimi anni del secondo millennio; eppure anche questo formava un amalgama unica con gli altri lavori degli anni lontani e dei secoli antichi, un amalgama attraversata di differenze che la rendevano pulsante di vita.

Già la larghezza pronunciata, anche in proporzione all'altezza, introduceva alla staticità ed alla piattezza, temi portanti della composizione. In colori velati da una tinta di freddo azzurro-grigio, era rappresentata una banale strada, di una squallida periferia, come ce ne sono di migliaia e migliaia al mondo. Un marciapiede di cemento, una lastra spenta, punteggiata da mozziconi di sigaretta - una strada piatta, incisa da crepe nell'asfalto ormai vecchio.

La vista del cielo era negata da palazzoni di appartamenti, dove la gente soltanto dormiva per poter dimenticare, per un attimo, una vita di sfruttamento e di misere ambizioni; per terra, uno scolo d'acqua sul bordo del marciapiede era intasato da foglie cadute, ormai marce.

Una manciata di persone camminavano sul marciapiede - camminavano come se avessero fretta: chi tornava dal lavoro, chi vi andava, chi invece andava ad un supermercato. Tutti erano vestiti bene, con vestiti diversi ma uniformi; chi non aveva un telefonino in mano, lo aveva nella tasca; ma tutti loro, giovani, donne, vecchi, bambini, erano soli, ed il loro sguardo vedeva il terreno soltanto.

E nel centro esatto del quadro, sul marciapiede, davanti allo sfondo dei cadenti grattacieli, v'era Gesù, crocefisso nella sua rappresentazione più classica: corona di spini, barba e capelli lunghi, ferita sul costato, un bianco straccio a coprirlo, ed in cima alla croce la pergamena con la scritta 'INRI'. Soltanto il Cristo e la croce erano dipinti con toni di colore caldi.

Con volto smunto, ma ansioso, cercava incessantemente lo sguardo dei passanti, la loro attenzione. Se uno, soltanto uno di loro lo avesse ascoltato, li avrebbe potuti salvare, li avrebbe svegliati, e li avrebbe condotti lontano da quel limbo in cui sognavano il nulla: non sarebbe rimasta pietra su pietra di quella città dormitorio che non sia diroccata.

Ma forse i passanti avevano paura del straniero, o forse soltanto non desideravano affatto esser salvati: ed il loro sguardo continuava ad abbracciare soltanto il terreno.

mercoledì 13 gennaio 2010

Non tentare il Signore Dio tuo

Spina Christi
11 - Non tentare il Signore Dio tuo

Una tela, come tante altre priva di cornici, alta 40 cm e lunga 70. I tratti decisi, quasi meccanici, ed i colori vivi- forse acrilici- rivelavano la modernità del quadro, forse d'un autore contemporaneo. Mi stupii di trovare un oggetto dei nostri tempi in questo luogo; eppure non era fonte di contrasto: pareva anzi essere il fratello più giovane degli altri quadri- sarà stata l'aria rinchiusa della chiesa a corroderlo d'antichità e santità.

Ad occupare l'intero quadro v'erano due seni, rosei, pieni e freschi - e la pelle era giovane, tesa, profumata, tentatrice. I seni erano coperti a malapena, poco sopra i capezzoli, da un vestito di un rosso appena scurito, illuminato da riflessi di seta, e bordato da un sottile pizzo che ne accentuava l'erotismo, tanto ingenuamente quanto efficacemente; ed il vestito, con la malizia propria di chi conosce la propria bellezza, stringeva e sollevava i seni, sì che nessun uomo sarebbe resistito a tale provocazione.

Dal collo, fuori dalla composizione, pendeva una catenina d'oro, sottile, come lagrime di luce intrecciate l'una all'altra dalle mani di una bambina - e dove i due raggi d'oro si incontravano, appena sotto lo sterno, v'era una croce, d'oro anch'essa, come un monile, sullo stile della croce detta del Golgota, ma più lavorata, più ornata, in modo di accrescerne l'eleganza e la leggerezza.

E sulla croce d'oro, piccolo, distante, sfumato, era crocefisso il Cristo: un Cristo in colori naturali, quasi vero.

Era come se sul petto della giovane donna morisse davvero il Salvatore.

Ma era piccolo, distante, e quasi sfumato: e in tanto contesto, chi si soffermerebbe a guardarlo?

martedì 12 gennaio 2010

Questo è il mio sangue

Spina Christi
10 - Questo è il mio sangue

Probabilmente questa composizione fu creata durante il rinascimento; le tempere in colori smorti, le terre pallide ed i verdi appassiti tracciavano sul quadro, alto circa 300 cm e largo 120, il paesaggio delle colline toscane, dove le città fortificate, assieme ai costumi delle genti, creavano un contrasto storico-geografico che solo in apparenza era anacronismo.

Su una di queste colline, la centrale e la più alta, sorgeva la croce, alta e sottile, e su essa un Cristo ugualmente esile, talmente bianco da confondersi con le nuvole del cielo retrostante, pallido come lo straccio che gli copriva il ventre.

Sopra di lui, dalle nuvole, una mano divina nel gesto di benedizione, con il pollice e l'indice e il medio protratti, spargeva una luce di oro sul figlio morente.

Eppure (e qui il rinascimentale si macchiava dello stile bizantino più intenso) dal costato del Crocefisso fuoriusciva un fiotto di sangue rosso, violento, forte; talmente rosso da tingere l'intera collina con l'amaranto del martirio. Nel rosso di quel colle - qui stava il contrasto più forte - eran disegnati, con tratti bianchi sottili ma vivi, schiere e schiere di diavoli. Su tutti, ne spiccavano sette per dimensione e imponenza: un'ingenua, ma efficace allegoria, dove tratti abnormi della fisionomia e parti del corpo animalesche ricordavano i peccati capitali. Gli altri erano più piccoli - certi minuscoli danzavano attorno ai loro condottieri, in una sorta di carnevale eterno dove nella stessa figura giacevano, in un letto di promiscuità, l'uomo, la bestia ed il divino.

Sotto, il sangue, a destra, un angelo, biondo, effeminato, dalle lunghe vesti azzurre, ed a sinistra un diavolo , nudo, cornuto e nero come la peste, reggevano un cartiglio in caratteri romani, in lingua latina: "Questo è il mio Sangue"

lunedì 11 gennaio 2010

La notte

Spina Christi
9 - La notte

Una tela molto grande, alta 190 cm e larga pressappoco 3 metri e mezzo, dipinta in intensi colori ad olio, che il tempo non aveva ancora adombrato. Il cielo pareva quasi un drappo di seta d'una favola orientale; scendeva dal nero più cieco, intarsiato d'argento di stelle, fino al rosseggiare del tramonto, occupando praticamente l'intera superficie del quadro; fra questi due estremi trionfava il blu della notte, in tutte le sue sfumature, tempestato dalle lacrime bianche degli astri attorno alla via lattea e accarezzato da una luce di luna. Non si sarebbe riusciti a parlare davanti a questo quadro tanto era forte l’evocazione del silenzio che questi congiurava; non restava che annientarsi, perdersi in quell’armonia antichissima, e cancellare i propri confini, quasi a diventare infiniti ed eterni noi stessi.

In basso faceva da contrasto la terra, un orizzonte distante, bordato di un giallo rossastro ma acceso, come se dietro vi fosse nascosto il sole; non occupava tutta la parte inferiore del quadro, ma digradava sulla sinistra, lasciando il quarto sinistro al cielo: e pareva quasi di veder un isola, o la punta d’una montagna, in balia di un oceano più grande di lei, troppo grande per lei.

Il lembo di terra si ingrossava leggermente man mano che si proseguiva verso destra, fino a salire, sull’angolo, a formare una piccola collina, distante; non raggiungeva comunque in altezza che un decimo del quadro.

Sulla cima della collinetta, solo, dimenticato, v’era un crocefisso, e sul crocefisso un uomo che dicono sia stato un Dio, ma ora era morto.

Eppure si capiva che non era stato rapito dalla Morte, ma vi si era consegnato di sua volontà, molto prima di esser salito sulla croce; vi si era consegnato come si lascia andare un amante nelle braccia dell'amata. E se ora era lassù, su quell'altare proteso verso il Cielo, verso lo spazio vuoto, come un offerta della Terra alla Notte, se ora era lassù non era per morire, ma per consacrare il suo amore.

domenica 10 gennaio 2010

Il sepolcro

Spina Christi
8 - Il sepolcro

Una tempera su una sorta di pergamena, di medie dimensioni - un quadrato di circa 80 cm per lato.
All'apparenza era stata dipinta molto tempo fa - mi prese quasi il pensiero che si trattasse della pelle d'un vecchio santo, tesa dentro una cornice dorata (una delle poche ad avere qualche semplice decorazione).
Gran parte della superficie era coperta da una parete rocciosa, simile a quelle delle montagne della mia terra, priva di spaccature, solida ed inamovibile, con i spigoli arrotondati dal vento, priva di piante, di erba, di vita.
Il suolo, anch'esso della stessa pietra, era stato solcato da un sentiero scavato dai passi, un rivolo di cammini levigato dai millenni.
Questo sentiero portava ad un'enorme apertura nella roccia, un'apertura nera, antica; una bocca infernale, capace solo di inghiottire, sterile d'ogni parola che sia conforto, ma avida d'annientamento, una porta verso la morte.
Eppure ecco che in quel nero silenzioso, ottuso, si poteva scorgere la sagoma d'un nero più lucido, simile ad un carbonchio - su una pietra tombale, simile ad un'offerta sacrificale giaceva il corpo del Redentore; pareva come carbonizzato, ma sulla sua schiena, inarcata dall'ultimo spasmo, brillava un timido, tenue riflesso: una luce capace di sfuggire dalla gola della tomba.

sabato 9 gennaio 2010

Le donne sotto la croce

Spina Christi
7 - Le donne sotto la croce

Era una tela invecchiata male, con una modesta cornice dorata, larga pressappoco 70 cm ed alta 40, dipinta con lo stile realista del 1800, ma con certi giochi di luce che fanno andare il pensiero alle avanguardie del primo novecento.
Al centro v'era la croce - nera, sottile, spoglia, quasi un oggetto del pensiero; lo spettacolo della punizione è ormai terminato, e portati via i cadaveri, resta solo il risentimento di chi è rimasto.
Sotto la croce, bruciate dal dolore, le donne che avevano servito e seguito Gesù in vita: fra esse spiccavano per la luce del volto ed il rosso vivo delle vesti Maria di Maddalena, Maria madre di Jacopo e Giuseppe, la sorella di Maria Madre, detta anche di Cleofe, e la madre dei figli di Zebedeo, detta Salomè (i rispettivi nomi erano scritti in targhette sulla cornice ai piedi del quadro).
In disparte, sorretta da altre donne vestite d'un rosso più smorto, stava la madre del Cristo.
I rossi veli delle donne, agitati dal vento, ricordavano le fiamme d'un incendio nel vano tentativo di bruciare la croce; erano assieme ai volti delle donne l'unica luce ad illuminare i toni scuri del quadro, il cielo grigio e la terra morta. Bruciate dal dolore, si diceva- ma forse quel dolore non era che una facciata, una maschera per nascondere agli altri, ma soprattutto a sé stesse un sentimento più antico, più forte, più umano. Ecco che la Maddalena lasciava trasudare dal volto riarso l'ira per essere stata abbandonata in nome d'una dottrina astratta e distante; e nelle pieghe della bocca di Salomè affiorava il rancore per quell'uomo visionario che le aveva strappato i figli con la promessa di un regno, ed ora moriva della morte dei ladri.
E Maria di Cleofe, nell'angolo dello sguardo che abbracciava la sorella, non covava forse invidia per il destino della Deipara, ed al tempo stesso rabbia impotente per quel figlio che aveva gettato con le sue azioni irresponsabili la propria madre nel più nero degli abissi del dolore?
Soltanto dal volto di Maria Madre non dimorava l'ira- ma rassegnazione di fronte a quella Madre Divina, più antica, sacra, terribile - quella Madre Divina nella quale non si poteva far altro che dissolversi.
E forse tutte avevano capito, con quella sottigliezza ch'è delle donne, l'irraggiungibilità di quella rivale, quell'oggetto del pensiero, nero, sottile, spoglio.

venerdì 8 gennaio 2010

Dittico - Il Sonno e la Morte

Spina Christi
6 - Dittico - Il Sonno e la Morte

I due quadri - due tele dipinte ad olio, larghe 60 cm ed alte 130, la cui sommità terminava in un semicerchio, come a ricordare un arco a tutto sesto - erano congiunti tramite due cerniere di legno, simili ad un cardine; li si sarebbe potuti chiudere e trasportarli, come la custodia di un violoncello. Dietro i dipinti nessuna decorazione - soltanto un legno laccato, nero lucido, proteggeva le tele, ed a chiudere i quadri pareva di trovarsi di fronte a una piccola bara.
Ma una volta aperti, i lavori parevano piuttosto delle finestre, una bifora con vista su una strada nell'impero degli incubi dell'umanità.
In entrambi, il soggetto era il Cristo, crocefisso. In entrambi, il paesaggio era scarno, quasi non esistente, un terreno di ocre impastate coperto da un cielo nero, in cui altri neri tramavano assieme ai grigi volute circolari di fumo stantio.
Il Cristo, col medesimo volto, quasi colorato di viola e azzurro, teneva la testa alta, guardando con fare sicuro l'osservatore del quadro, impaziente di morire per poter trasmettere il suo messaggio. Ciò che distingueva un quadro dall'altro era la modalità della crocifissione, o, si potrebbe dire, il grado di morte raggiunto.
In quello di sinistra si poteva notare la forza, la vitalità delle braccia di Gesù, legate (e non inchiodate!) ai bracci della croce da più giri di corda, scemare, fino a svanire e farsi secchezza, aridità nel ventre; sotto lo straccio che gli copriva la vergogna, pendevano immote e bianche le ossa dello scheletro, disegnate con una gelida precisione anatomica.  Interessante notare come anche le gambe fossero legate, non da corde ma bensì da catene; una treccia di catene sottili, d'argento - tanto fini quanto infrangibili.
Il risultato cromatico era una sorte di ellisse polarizzata, i cui due fuochi erano rispettivamente la bocca e il pube del Salvatore, una dialettica fra logos e carne il cui discorso formava ed era composto dal corpo dell'uomo.
A fare da controcanto c'era la parte destra del dittico: il volto di Gesù pareva emergere dal legno; sotto, le fibre dei muscoli si irrigidivano fino a confondersi con la croce, ed i nodi di quest'ultima stringevano a tal punto la carne da divenire tutt'uno con essa. La croce lo aveva vinto, la morte lo aveva forse annullato, cancellando di lui ciò che lo differenziava dal resto del mondo?
Certamente, era quello che entrambi volevano. Ma anche in quell'ultimo attimo, e forse solo in quell'ultimo attimo, dalla bocca del cristo fioriva una fiammata, e dov'era un tempo la sua forza maschile brillava una macchia di sangue; entrambe forti dello stesso rosso, brillante, disperato, vivo. Così sul medesimo albero si sarebbero potuti cogliere i frutti dell'albero della scienza e dell'albero della vita, le luci d'oriente e d'occidente.
Così l'uomo che avesse fatto dei due l'Uno avrebbe messo fine al mondo, e fatto di sé il Regno.

giovedì 7 gennaio 2010

Piccola vita

Spina Christi 
5 - Piccola vita

Un olio su tela, altezza 55 cm. per 120 di lunghezza.
Con colori crudi e slavati era dipinto un antro, freddo ed ostile. Il soffitto era basso, e l'aria torbida, come imbevuta dell'odore della morte.
Nel mezzo di questo triste grigiore c'era un rialzo, una sorta di altare di pietra, lucido e levigato; su esso era posato un corpo coperto da un lenzuolo, disteso di lato rispetto all'osservatore, ad occupare la metà centrale della lunghezza del quadro. La freddezza della composizione faceva sembrare la stanza un obitorio moderno, quasi una sala chirurgica dopo un operazione non riuscita.
Il telo che copriva il cadavere era ormai marcio, contaminato e corrotto da quel contatto immondo, da quelle ossa ricoperte di carne morta che trapelavano di sotto. Eppure tanto marciume, segno di un abbandono di mesi, non era ripugnante alla vista: muffe avevano variegato il telo, come la prima erba spunta da un prato innevato; e le macchie di sangue e pus, sapientemente disposte dal pittore, parevano i primi fiori che dona la primavera.
E benché in calce al quadro vi fosse scritto, in stampatello maiuscolo, "il corpo di Gesù 50 giorni dopo la morte", l'anonimo pittore aveva fatto spuntare, a rischiarare di speranza la gelida caverna, un fiore proprio li dove doveva essere il cuore del morto, come se fosse nato dal cadavere e da questi nutrito. E quale resurrezione più gloriosa!

mercoledì 6 gennaio 2010

La corona

Spina Christi
4 - La corona

Il supporto era una tavola quadrata in legno scuro, quadrata, di circa 50 cm di lato, bordata con una sottile assicella del medesimo legno. Si leggeva fra le sue venature la polvere dei luoghi dimenticati.
L'intero sfondo era dipinto in un'uniforme vernice dorata; benché il tempo e la noncuranza avessero insinuato la screpolatura nell'oro, il contrasto fra il tratto del soggetto e la calma dello sfondo era ancora stupefacente, e ricordava l'alba che colora di sole i rami d'una foresta secca. Solo protagonista del quadro era la corona di spini, la corona di scherno che aveva cinto il capo del Re del Dolore.
Iscritto nel quadrato di legno, con un margine di pochi centimetri, un cerchio di rovi ricurvi, fissi, eterni, intrecciati ed immutabili. Nessuna sfumatura, nessun legame con la realtà, col mondo che chiamiamo nostro: pareva di assistere ad un trattato di teologia, ad un diagramma tracciato da Dio per spiegarsi a sé stesso - un'esposizione dei misteri dell'incarnazione in una calligrafia spigolosa ed incomprensibile, in una lingua inaccessibile agli uomini.
Chi, vedendo un tal peso, avrebbe il coraggio di caricarselo sulle spalle? Chi avrebbe nervi tanto saldi da sopravvivere al dolore di quell'attimo di infinita vita, di infinita coscienza, di infinita apertura e chiusura?
Chi sopporterebbe il freddo, chirurgico morso d'amore di quelle spine?

martedì 5 gennaio 2010

L'occhio con le mosche

Spina Christi
 3 - L'occhio con le mosche

Questo quadro era di dimensioni modeste, una tela di circa 20 cm di altezza per 30 di lunghezza, ed anch'esso era privo di cornice. V'era dipinto con poche pennellate, lisce ma vigorose di colori ad olio, l'occhio del nostro Signore.
L'occhio (nello specifico, l'occhio sinistro) occupava l'intera tela, e attorno v'era soltanto la pelle del viso, prossima a svanire, dissolta dalla luce.
Mi si chiederà: "come si può esser sicuri che l'occhio rappresentato sia proprio quello di Cristo?"
Ebbene, quell'occhio era un lago di paura, e nel caldo marrone dell'iride bruciavano le fiamme di tutti i peccati, con un intensità che solo un Dio svuotato della sua divinità può provare; era insomma un occhio d'uomo, anzi l'occhio dell'Uomo stesso.
Ci volle un considerevole sforzo di volontà per distogliere lo sguardo dalla pupilla: per infiniti istanti sembrò nutrirsi del mio sguardo, avido di confondersi con me, di possedere ogni mio respiro! Ancora oggi provo un brivido al solo ricordo, paura infinita ed un sordo rimpianto.
A far da contraltare al peso della pupilla, nell'angolo in basso a sinistra, in prossimità del lacrimatoio, passeggiava una mosca, nera e grassa come le fuliggine. Passeggiava, colorando di rosso l'occhio, rompendo i capillari come un suonatore d'arpa accarezza le corde; passeggiava come si passeggia sul corpo inanimato di un ghiacciaio.
Eppure l'occhio - benché vivo, benché mai così vivo - non riusciva a liberarsi dell'insidioso insetto. Pareva attenderlo, desiderarlo, d'un desiderio perverso, di contagio.

lunedì 4 gennaio 2010

Il figlio crocefisso sul padre

Spina Christi
2 - Il figlio crocefisso sul padre

Il dipinto, di grandi dimensioni (alto all'incirca 180 cm per 90 di larghezza) pareva eseguito con una tecnica simile all'affresco, quasi che la calce fosse stata strappata integra dal muro ed incollata su una base di vecchio e pesante legno scuro. Una modesta cornice dello stesso legno, quasi priva di decorazioni, stringeva il tutto, lenendo la precarietà dell'immagine.
Davanti ad uno scarno paesaggio collinare si stagliava la figura antica e possente di Geova, nella raffigurazione classica di anziano dai bianchi e lunghi capelli, e dalla barba ugualmente luminosa e fluente.
Teneva le braccia spalancate, la testa retta, lo sguardo alto, quasi arrogante, le gambe unite: nell'insieme il suo corpo veniva a formare l'immagine di una croce. L'ampia tonaca verde scuro, argentata da bianchi arabeschi, velava un corpo forte d'una muscolatura classica, statico e potente al tempo stesso, quasi immobile – marmo d'un tempio, e sacra quercia secolare.
Nei suoi occhi, nel suo sorriso, non si leggeva altro che vittoria.
Su quest'immane croce divina, debole, appeso al respiro come se ogni suo istante fosse l'ultimo, era Gesù: il figlio crocefisso sul padre.
Un sapiente gioco di colori negava alla vista ogni traccia di sofferenza fisica: niente sangue, niente corone di spini, niente piaghe: chiodi minuscoli, poco più di un puntino nero, legavano Gesù al Dio Padre.
Ma gli occhi del Cristo erano gli occhi di ogni uomo ed ogni donna che avesse mai sofferto, sulla sua bocca si soffocava il pianto di ogni bambino e il suo corpo, coperto da uno straccio, era solcato da tutte le privazioni che avevano condannato la storia dell'umanità.
Nessuna aureola cingeva il capo dei due: le loro opposte santità non avevano bisogno di esser sottolineate.
Sotto, al centro, in un cartiglio in minuscoli caratteri gotici in rosso scuro era scritto “Perché mi hai abbandonato?”

domenica 3 gennaio 2010

La mano

Spina Christi 
1  – La mano

Come la maggior parte dei quadri, era senza cornice; il supporto era in legno chiaro- lungo circa 30 cm. ed alto 20 - su di esso era stato incollato un cartoncino. I colori erano tenui, ormai ombre acquerellate dal tempo.
Vi si vedeva la mano del Cristo inchiodata sulla croce: magra, quasi secca, impregnata d'una vitalità giunta alla fine.
Al centro del palmo la testa del chiodo, quadrata, con gli angoli smussati e i lati convessi - soltanto pochissimo sangue sgorgava dalla ferita, formando un sottile anello che circondava il chiodo, senza colare.
Attorno al chiodo la mano non era né aperta né completamente chiusa; sembrava persa nel patetico ed impossibile sforzo di stringere il chiodo, quasi fosse indecisa fra il volerlo schiacciare o proteggerlo con gelosia.
Dietro la mano, e il breve tratto di polso visibile, il legno della croce pareva irto di schegge, segnato da pennellate orizzontali, ora chiare e ora scure, che agitavano la superficie mutandola nell'incubo di un morso spietato.
Sullo sfondo, dietro il legno della croce, una miriade di petali blu e viola, come sfumati in fiamme, portati da un freddo vento che seguiva il legno, davano all'intera composizione una luce dai colori dei lividi, ed un mancamento simile all'affogar nel vino.

sabato 2 gennaio 2010

Spina Christi (ovvero Un esperimento divino sul dolore)

Prologo

Erano ormai sette ore che camminavamo; quello che era un sentiero stentato si era pian piano perso in un intrico di sassi e rovi.
Davanti, molto davanti a me, camminava il custode, la mia guida: si voltava ogni tanto a guardarmi, e sembrava che fosse stato per lui quasi un sollievo se io mi fossi perso attardandomi addietro.
Arrivammo ch'era già iniziato il tramonto: il custode mi diede le chiavi e si sedette, caricando lentamente la pipa con un tabacco nero: non sarebbe entrato con me, sarei andato avanti solo.
La chiesa era piccola, più di quanto me l'aspettavo: una chiesa rurale, in pietra, con un campanile a vela ormai senza campane. Era appoggiata su una dorsale del monte priva di alberi e pareva dominare, non vista, la valle.
Mi era stato detto, in paese, che era ormai sconsacrata: in tempi non troppo passati v'era accaduto un terribile omicidio - un ragazzo era stato ucciso dal padre, proprio nel giorno della sua Prima Comunione.
Pugnalai con la pesante chiave la porta di legno secco; girai la chiave, e il chiavistello parve spezzarsi. La porta si aprì, e fui inghiottito dalla chiesa.
Accesi delle candele: la luce tremante faceva apparire lo spazio molto più grande di quello che prometteva l'esterno.
Quadri, quadri ovunque, quasi accavallati l'uno sull'altro alla parete - davano una vertigine sovraccarica, come le decorazioni di certe sinagoghe dell’est, schiacciate da millenni di preghiere.
Il custode mi aveva più volte ripetuto che i quadri datavano tutti all’anno zero; un semplice sguardo rivelava invece che erano stati dipinti in diverse epoche ed in diversi paesi, con le tecniche e gli stili più disparati.
Misi dell’incenso in un bruciatore, ed iniziai ad esaminare il primo quadro.