Per ingannar l'attesa fra un post e l'altro

Vi annoiate e non sapete cosa fare fra un aggiornamento e l'altro di questo blog?

Per bon?

No, veramente?

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martedì 30 novembre 2010

Sordi e ciechi

Si chiedon come mai Iddio non parli più agli uomini: eppure il vento non ha mai smesso di soffiare, e i suoi profeti sono i fischi delle sciabole.
E dicon non si senta più di Iddio la voce, quasi che non udissero il tuono che d'estate squarcia il cielo, e i suoi profeti sono i fucilieri!
Una generazione persa e vuota chiede un segno, e quel segno è nascosto nel dorso della foglia del mite ciclamino.

mercoledì 24 novembre 2010

Tre nastri neri e uno rosso (la zampa del corvo presa al laccio)

9. La sicurezza

Dicono sia un veleno dolce, che fiacca il corpo e l'anima: è gente che non sa cos'è il pericolo.
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Riparami dall'acqua e dal vento (e persino il sole sa essere violento)
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E' facile non aver dubbi stando seduti fra le mura della propria casa: la notte è chiusa fuori.

venerdì 19 novembre 2010

Il rosso nel vaso ermetico

8. La volpe

Il duro tempo t'ha reso spigoloso il volto - dov'è finito il cucciolo che fosti?
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I denti conoscono il sangue soltanto.
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Incapace di guardare senza brama: Curiosità divora, Fame sbrana.

martedì 16 novembre 2010

Distillazione tramite condensa del blu (albero di stelle)

7. La tomba

Son stanco di esser più solo ad ogni risveglio, non voglio che venga più l'alba.
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Dicono sia un forno spirituale: cucina forse l'anima come fosse un maiale?
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T'han seppellito con la terra e quella terra fu un tempo il corpo dei tuoi avi - ed ora attendi la tua prole

venerdì 12 novembre 2010

Un fiore, un frutto, un uovo

Il pettine d'osso

Era un sabato pomeriggio, uno dei primi dell'estate: ero andato con gli amici a nuotare sotto la parte più nascosta della scogliera. Nel gioco d'esplorare mi ritrovai da solo, lasciando tutti - e tutto - alle mie spalle. E già pensavo di tornare a casa, quando, fra le rocce, vidi brillare un pettine di donna, d'un materiale come l'osso, eppure trasparente, e liscio al tatto. Lo presi, con ingenua reverenza, e come fosse un cannocchiale, volli vederci il mare, e il sole, in trasparenza: fu allora che finì l'infanzia.

martedì 9 novembre 2010

Deus otiosus (sciamanismo moderno)

Grazie al cambio favorevole e all'inflazione che infesta quelle terre, avevo comprato per pochi soldi (l'equivalente di 20 euro) da uno sciamano della Siberia orientale una corda per raggiungere il cielo. Mi spiegò le semplici operazioni necessarie per attivarla: bastava carezzarla lascivamente e sussurrarle blandizie con voce suadente, ed ecco che la corda si faceva dapprima rigida, per poi ingrossarsi ed impennarsi puntando prepotentemente verso il cielo.
Tornato dal viaggio mi prese il desiderio di fare una passeggiata per i cieli oltremondani, giusto per la curiosità di vedere come son fatti quei luoghi del pensiero. Accesi quindi un incenso al gusto di sandalo che avevo comprato al mercatino dei souvenir dell'areoporto e misi nello stereo un cd di musica spirtuale; per riscaldare l'atmosfera bevetti anche un bel bicchiere di vino rosso da una bottiglia che avevo ricevuto in dono per lo scorso natale.
Quando la corda cominciò a risvegliarsi fra le mie mani, ebbi l'accortezza di legarne un capo al piede del divano, per evitare che nell'impeto della salita non mi si precluda la possibilità di un ritorno a terra; comunque sembrò proprio una precauzione inutile, dato che la corda si agitava svogliatamente, con un'intenzione fiacca e negligente - era forse per colpa del vino? .
Comunque presi ad inerpicarmi su questa molle via: m'ero immaginato di vedere la terra, la mia casa e le strade della mia città farsi sempre più piccole e distanti, man mano che salivo, un po' come si vede dal finestrino d'un aereo dopo il decollo.
Invece, al posto dell'altezza vertiginosa, vidi terra, casa e strade farsi prima sfocate, come avvolte da una nebbiolina che mischiava e rendeva sordi i colori, fino a farsi indistinte, una mescolanza confusa: quando raggiunsi la cima della corda tutto si era fatto di un bianco uniforme e spento: era questo dunque uno dei cieli sovrasensibili? Ero già nelle regioni dell'eterno?
Presi a camminare in questo bianco ovattato; camminavo veramente, mi muovevo o muovevo soltanto le mie gambe e i miei piedi restando fermo sul posto?
Ad ogni modo dopo una mezz'oretta di cammino mi accorsi che a breve distanza da me, all'incirca a quattro metri nella direzione in cui mi muovevo, o credevo di muovermi, stava dinnanzi a me un'ombra, appena percettibile; mentre cercavo di raggiungerla mi sfuggiva, mantenendo sempre la stessa distanza fra me e lei; però ad ogni passo dell'inseguimento l'ombra acquisiva sempre più consistenza, i suoi contorni si delineavano e la sua pelle acquistava colore.
Infine mi accorsi di esser entrato, anche se non saprei dire il momento esatto in cui ciò accadde, in una stanza, uno strano misto fra un tempio antico ed un ufficio da burocrate. L'ombra si era nel frattempo concretizzata in un uomo dal volto in bilico fra il vecchio; i capelli nero scuro lasciavano intravvedere nella base grigio chiara l'inganno della tintura; i suoi occhi erano d'un grigio glaciale e vuoto.
Aveva una strana giacca, d'un taglio fuori moda e dal colore cangiante dal grigio-verde all'oro; su essa erano appese molte spille e ninnoli d'oro, che lo rendevano simile ad un misto fra un vecchio generale d'armata ed ad una statua della madonna coperta da gioielli ed ex-voto.
Attorno a lui stavano impilati mucchi e mucchi di fogli accatastati a coprire la sua scrivania/altare- forse preghiere a lui indirizzate? Tuttavia non se ne occupava nè se ne preoccupava, e stava lì con lo sguardo fisso a guardare il nulla. Nemmeno alla mia presenza si smosse: non mi degnò di uno sguardo e tutto quel che fece fu sbuffare fra sè e sè, visibilmente infastidito.
Mi decisi a rivolgergli la parola: "Oh potente essere celeste, che conosci le sorti di noi mortali e custodisci i registri dei nostri destini! Concedimi la conoscenenza proibita, svelami come sono intrecciati alla mia vita i cammini degli altri umani che mi sono vicini, amici o nemici! Donami il potere di sapere ciò che mi aspetta da adesso alla fine!"
Il dio tornò a sbuffare e mi rispose, con voce forte, profonda ma annoiata:
'Deve compilare l'apposito modello; mi raccomando specifichi bene la motivazione.'
Mi allungò un foglio prestampato, ma non avevo con me niente per scrivere.
'Come, non s'è neanche portato una penna?'
'No, lo sciamano che mi ha venduto la corda non mi aveva detto niente in proposito.'
'Capisco' mi disse, e sparì.
Mi lasciò solo per un oretta; bruciavo dalla curiosità di sfogliare le sue carte ed i suoi documenti, ma come prima non riuscivo ad avvicinarmi ad essi, ogni passo in qualsiasi direzione mi lasciava fermo sul posto.
Alla fine il dio tornò e mi disse, distrattamente sorpreso: 'Ah, è ancora qui? Tenga.'
Mi allungò una luminosa e pesante penna biro d'oro.
Compilai con dovizia il modulo e glielo porsi; lui lo prese e lo impilò sopra gli altri fogli. Mi disse un arrivederci in cui era sottointeso l'ordine di lasciarlo solo ed andar via, dopodichè riprese a guardare il suo nulla.
Ero di nuovo in quel bianco insensato e mi resi conto con angoscia di quanto sarebbe stato difficile, forse impossibile trovare la corda; oltretutto non l'avevo neanche legata, d'altronde non c'era niente a cui assicurarla.
Ma per fortuna mi si fece vicino - o forse apparì d'un colpo?- una figura femminile, una signora dai capelli neri, in un tailleur rosso che sarebbe stato provocante se l'incantesimo non fosse stato incrinato dalle prime stonature del cedimento dell'età.
'Sono venuta per riportarla a terra', mi disse, al che risposi: 'Siete molto gentili'.
'Si figuri, è che non vogliamo che lei rimanga qui. Non vorrà mica diventare un dio anche lei, vero?'.
'No... Non ci avevo nemmeno pensato. Sa forse dirmi entro quando sarà esaudita la mia richiesta?'
'La prossima volta si faccia furbo, e porti un'offerta - dell'oro, o del liquore di lusso. Ora si stringa a me'.
Mi avvolse le braccia attorno al collo, stringendo i suoi seni contro il mio petto; sentii un forte profumo dolciastro, ed iniziai a precipitare, un senso come una forte nausea, finchè mi ritrovai nella mia stanza.
La donna si guardò intorno, come se volesse prendersi qualcosa in cambio dei suoi servigi da traghettatrice.
'Se vuole ho dell'incenso'.
'Si figuri... prenderò quella bottiglia di vino'.
'Mi dispiace, è già aperta.'
'Vabbè, non fa niente'.
Iniziò a scolorirsi velocemente fino a scomparire; la bottiglia che teneva in mano cadde a terra, ma adesso era vuota.
Legata attorno alla gamba del divano c'era ancora la corda, ma s'era tutta rinsecchita ed annerita, e a toccarla si spezzava in briciole e polvere. Lasciò una macchia sul pavimento, un lungo ghirigoro simile alla scrittura in corsivo d'un bimbo, ma priva di un qualunque significato.

(Demoni del Deserto) - 23 aprile

Volgo il cammino a Nord, al Ritorno, verso la verde città, detta la Porta d'Oriente; torno nelle città degli uomini,
ma ho un segno inciso col fuoco nel cuore.

venerdì 5 novembre 2010

(Demoni del Deserto) - 22 aprile

Fu varcata una soglia; blu era la sabbia del deserto, e un cielo giallo pareva a guardia dell'immobilità del momento.
V'era un giovane, forte, e glorioso nell'incedere.
Occhi di gelo e capelli dorati riflettevano la putrefazione dell'Eternità; possenti corna sul suo capo ricordavano a chi osava guardarlo che in lui è la potenza, che lui è la potenza.
Il mondo intero sussurrò il suo nome, perchè dal mondo intero era nato, ed il mondo era nato da lui:
il mondo intero sussurrò il suo nome, in timore, ed in lui risuonò terribile, e quel nome era "la sorgente".


Mi donò un segno,

che era luce, e tenebra, a seconda di che sguardo lo trafiggesse; e disse che ogni oggetto distaccato
della realtà era simile, ed ogni volo della mente era tale. E mi invitò a vedere i due lati di ogni cosa che abbracciavo, e di scoprire altri lati ancora; e di riconoscere come fratelli questi aspetti, ma di non perdersi nella palude della stasi fra essi, operando su essi la scelta, santissimo atto glorioso, soffio di Dio nell'Umano.

martedì 2 novembre 2010

(Demoni del Deserto) - 20 aprile

V'era un vecchio all'ombra d'un oasi, e la sua pelle era nera, e consumata, ma le sue braccia eran forti, la sua
stretta ferma. Era intento a costruire un canale per condurre una sorgente ad un orto lì appresso; e colmo di ricchezze era l'orto. Mi disse il suo nome, ed era simile al rumore di un martello che batteva su un incudine.
E davvero l'anziano era un fabbro di catene, di legami. Ma quando estrassi la spada, sorrise, come un padre che riconosce un figlio perduto. Con parole di fuoco mi spiegò che al suo comando v'erano si forse di restrizione, ma anche forze che danno controllo, e direzione; e disse che sua creazione era il sacro confine che gli uomini chiamano individualità, ed identità.
E la sua pelle si fece più nera: chè come egli contrastava l'istinto di espansione, così contrastava la forza di vita, ed era uno spettro di morte; ma a entrambe era funzionale, e necessario, e di esse era parte, come la pelle è parte del corpo di noi Uomini.