Per ingannar l'attesa fra un post e l'altro

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lunedì 18 aprile 2011

Un uovo della tempesta

Un uovo della tempesta,
custodito presso l’Imperial Regio Museo di Soleschiano. Oltre a questo ne rimane solamente un altro esemplare, posseduto dal Deposito Museale dell’Accademia di Scienze Nere di Stoccolma.
Son passati secoli dall’ultima volta in cui un uovo della tempesta è stato usato, e i suoi effetti non sono scientificsmente certi: il ricordo si avvolge nel manto della leggenda. Si dice che inseminando una nuvola con uno di essi si provochi una tempesta furiosa, capace di sradicare con neri venti di pioggia anche le querce secolari; due di essi usati sulla stessa nube provocano un’alluvione, e tre bastano per cancellare dalle mappe una nazione. Secondo alcuni al Creatore, per scatenare il diluvio universale, bastarono soltanto sei di queste tremende sfere.
E’ andata persa, grazie a Dio, l’arte di costruirli. Non è nota la particolare composizione chimica del vetro con cui veniva soffiata la bolla, nè lo stretto regime di temperature a cui occorre mantenerla.
Il vetro veniva soffiato a bocca, tramite una canna; secondo una tradizione il soffiatore doveva essere un bambino di non più d’otto anni. Poco prima della lavorazione il bimbo doveva respirare da un braciere i fumi della Digitalis lutea a pieni polmoni.
La diabolica e perversa arte dei creatori di uova stava nel calibrare finemente l’intossicazione, di modo che il soffio con cui il bimbo gonfiava la sfera fosse l’ultimo suo respiro – esalando l’ultimo fumo il bimbo rendeva la vita.
Nell’istante stesso della morte i fumi, prigionieri del vetro, collassavano formando i nastri neri serpentiformi, simili a fulmini di velluto nero che nuotano nel più scuro liquido blu cristallino.

martedì 12 aprile 2011

Una Rosa

Il poeta passeggiava con un amico per un sentiero che tagliava a mezzacosta la montagna, cingendo i pascoli appena al di sopra del limite del bosco.
Giunto nei pressi d'un rudere di una vecchia stalla, si bloccò come impietrito, rapito in estasi; ma il suo sguardo era dolce e presente: guardava una rosa damascena con commozione e languore. Il suo amico iniziò a declamare versi, sia antichi che di sua invenzione, in onore della rosa selvatica; ma il poeta lo interruppe, quasi nemmeno lo stesse ascoltando, e annunciò felice che avrebbe sposato la rosa.

Il matrimonio del poeta e della rosa fu arrangiato per quella sera stessa: vi presero parte i pochi, veri amici del poeta e molti curiosi del villaggio e dei villaggi vicini; in rappresentanza della famiglia della sposa molti fiori furono portati dai campi ad ornare sontuosamente il fienile in cui si svolgeva la festa.
Il poeta rise e bevette molto, cantò canti d'amore e danzò con la sua rosa: tutti si rallegravano con lui di questo scherzo gioioso ed originale, e le donne invidiavano la rosa che aveva un marito che conosceva cos' bene l'amore.
Ma col proseguire della serata, quando i primi ospiti iniziavano a prendere congedo, già si poteva scorgere un velo di malinconia dietro il bel sorriso del poeta.
E i pochi amici che gli restarono vicino fino a notte tarda raccontano di come egli abbia pianto disperatamente fino al mattino, stringendo fra le mani una rosa avvizzita.

martedì 5 aprile 2011

"Privacy" - dietro la maschera dell'intimità


1. Una delle correnti psichiche che in questi anni soffiano sulle braci delle nostre preoccupazioni ed angosce è la questione della privacy.

Il termine si traduce, negli effetti pratici, in un'acuita, se non eccessiva, sensibilità all'intromissione altrui nella propria vita riservata. Ne è derivato un intrigo normativo con la funzione di tutelare (o meglio, di rassicurare) i segreti della vita intima di ognuno dai tanto temuti quanto indefiniti occhi indiscreti altrui. E' solo in apparenza un paradosso che da queste leggi protettive sia di fatto derivato un ulteriore aggravarsi della paura di veder violata la propria "privacy", fino a raggiungere livelli di paranoia patologici.

E' evidente che nella 'privacy' di tutti noi è contenuto un segreto così sordido da farci tremare all'idea che qualcuno ne venga a conoscenza.


Cosa può esserci di tanto fuori dalla norma e dalla morale comune nascosto nel cuore dell'uomo qualunque? Che genere di mostruosi segreti può nascondere una casalinga di mezz'età, o un giovane avvocato, un falegname prossimo alla pensione o un studente al primo anno di università?

Forse qualche amore infedele, un sentimento di ribellione, qualche imbroglio, o un attimo di bassezza dello spirito culminato in un atto di cui vergognarsi: banalità, banalità, nient'altro che banalità.

Abbiamo paura che qualcuno venga ad indagare nella nostra vita nascosta: ma poi, chi verrebbe ad indagare nei nostri piccoli e noiosi segreti? A che scopo impicciarsi nei nostri oscuri affari da poco conto?

Forse abbiamo paura che qualcuno scopra che anche nel nostro intimo siamo così banali? Che nel Sancta Sanctorum dei nostri segreti non c'è custodito che del ciarpame da quattro soldi? Lo nascondiamo agli altri o lo nascondiamo a noi stessi?



2. -OMISSIS-


3. Spesso si giustifica la rivendicazione della 'privacy' con la tematica del controllo: il governo, o le grandi ditte multinazionali, o qualche altra entità vista come malevola controlla infatti molto meglio una popolazione se la conosce, se è in possesso di molti dati dettagliati riguardo i singoli individui.
Ma conoscere il singolo individuo sarebbe una precauzione inutile: è molto più semplice ed efficiente conoscere il comportamento della massa, del popolo nella sua interezza.
La volontà della massa è molto, molto più malleabile dalle parole e dalle immagini rispetto a quella d'un individuo. 






Oltretutto esser conosciuti non ci mette in potere di chi ci conosce, vale anzi l'opposto. Conosciamo tutto della vita dei re, dei capi di governo e di chi ci comanda: ma non per questo possiamo alcunché contro di loro. E' proprio tramite il fatto che noi li conosciamo che loro possono comandarci (ciò a patto di non indugiare in quel genere di fantasie che vede dietro ogni evento della storia un potere occulto, celato dietro le quinte).
Di contro, si pensi al cittadino anonimo d'una delle tante città dell'Impero: pochi lo conoscono o sanno chi sia, ma non per questo ha più libertà d'azione. Anzi, proprio per questo conta ben poco nei giochi del potere.