Spina Christi
16 - Docetismo
Non fui in grado di stimare il tempo e il luogo in qui questo grande quadro - 200 cm d'altezza per 260 di lunghezza- fu dipinto. La tecnica pittorica è infatti piatta, volutamente spenta, quasi priva di tratti e pennellate, neanche fosse una stampa di poco valore; soltanto in un punto si fa vibrante, e sembra prender vita.
Su un terreno smosso di fango secco, tondeggiante come la cima di una collina, è raffigurata la scena della crocifissione - Gesù e i due ladroni sulle tre croci, le dame piangenti alla loro destra, i soldati sull'altro lato, e -sparsi e distanti- i pochi discepoli spaventati.
La scena è "raffigurata", dicevamo, ed invero è questo il termine giusto: che grazie ad una prospettiva leggermente angolata rispetto all'asse della scena, possiamo vedere la finzione che la sorregge.
Ogni gruppo di persone non è nel quadro che una sagoma dipinta su del legno sottile, tagliato e traforato, sostenuta da dietro da un paletto a far da cavalletto.
E di colori sbiaditi e piatti è anche il cielo, con le sue nuvole sfumate d'arancione e contornate di nero; piatto e fermo, finto, immobile.
L'unico polo in cui il quadro si faceva vivo, attorno al quale il colore cessava di essere una palude stagnante per divenire una fresca sorgente era lui: dritto, in piedi, col corpo di ossa e di carne palpabili, unico uomo vero in un vuoto di finzione scenica. Giuda l'Iscariota, con il cappio ancora intorno al collo, cercava insistentemente attorno a sé il respiro del suo maestro d'un tempo, dei suoi ex-compagni, dei suoi complici e della sua vittima.
Cercava, quasi volendo negare a sé stesso di essere l'unico, di essere il solo rimasto, di essere vittima egli stesso di un meccanismo dagli ingranaggi grandi, più grandi, talmente più grandi di lui.
lunedì 18 gennaio 2010
Docetismo
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