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sabato 10 aprile 2010

Dikē e Nèmesis

La psiche umana, come ogni sistema, tende ad un suo equilibrio; quando subisce un torto, o anche quando soltanto percepisce di averlo subito, resta in essa come un peso, un debito, una sensazione di squilibrio ch'è stata chiamata ingiustizia; soltanto attraverso un'azione speculare (non per forza verso il soggetto che ci ha recato danno in partenza) essa può sgravarsi e ritornare ad una sensazione di quiete; non per niente il simbolo più comune della giustizia è proprio la bilancia.

Tale meccanismo di scambio è però falsato da un gioco di prospettive tipico della nostra psiche che fa sì che il torto subito sia percepito sempre come maggiore dell'effettivo, sminuendo al tempo stesso l'entità della propria reazione ad esso.

E' chiaro che mentre il meccanismo della vendetta porta l'equilibrio nel singolo individuo, esso innesca un ciclo a retroazione positiva destabilizzante nelle relazioni all'interno di un gruppo o fra due gruppi differenti; l'aumento ciclico di azioni e reazioni sfocia quindi in un conflitto cronico: lotte all'interno di famiglie, faide, guerre, e così via.

Così venne codificata la giustizia e si crearono delle leggi come sistema per incanalare e controllare gli impulsi a rispondere ai torti, affinchè non solo non siano dannosi alla società ma addirittura divengano legante e norma della stessa.

Ma ancor'oggi resta nell'animo umano la disposizione alla vendetta, e si invoca la legge come punizione verso chi ci ha colpiti, e più tale castigo è fisico, corporale, più ci soddisfa, più disseta la nostra anima infuocata.
A ciò si aggiunge il bisogno psichico di allontanare da sè e dalla propria comunità il perturbante del delitto, (vedi il tema dello sdegno in Klein e Wagner di Hesse) proiettandolo nel colpevole e stigmatizzandolo col marchio di Caino, ostracizzandolo in un esilio dal quale non potrà contaminare il nostro mondo buono.

Quanto presto il messaggio cristiano del 'porgi l'altra guancia' è naufragato! Il perdono senza risentimento, il perdono del Male stesso non è alla portata dell'uomo, o almeno non ancora. Una giustizia più 'giusta' -tesa ad eliminare le cause del crimine invece di punirlo, a curare la malattia invece di occultarne i sintomi, una giustizia che non sia bilancia che esamini meriti e colpe ma un faro a guida di chi è smarrito (per non parlar della spada!) - una tale giustizia ci è ancora preclusa e probabilmente essa ci apparrebbe come un'ingiustizia ancora peggiore, perchè essa comporta un sacrificio che l'uomo non è ancora in grado di ricevere nel suo animo: la convinzione di essere sempre, e comunque, nel giusto.

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