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martedì 6 aprile 2010

Ayn

Esiste una determinata sensazione che il nostro linguaggio descrive come 'sentirsi osservati'.
Spesso si manifesta come un senso d'incomodo, di inquietudine; ad essa non corrisponde una sensazione cinestetica definita, se non, in certi casi, una sensazione tattile alla nuca. (è anche molto diffuso il gesto di grattarsi la nuca come abreazione dell'imbarazzo; forse entrambi sono un rudimento del comportamento, comune a molti mammiferi, di gonfiare il pelo sul collo e sulla schiena per aumentare la forza aggressiva percepita)

Il sentirsi osservati non proverrebbe da un'effettiva causa registrata dai sensi, ma verrebbe da una contatto a livello extrasensoriale; nella spiritualità popolare dei nostri giorni viene detta come causata da "un'aurea (l'osservatore) che viene in contatto con la nostra".

Passeggiando per i boschi spesso possiamo sentire un uccellino cantare; se lo cerchiamo con lo sguardo fra le fronde, potremo osservare che egli si metterà a tacere proprio quando il nostro sguardo lo sta avvicinando.
E' normale che un uccellino, privo di difese se non la paura, abbia una così forte sensibilità alle attenzioni che a lui si rivolgono: tali attenzioni di solito significano per lui un pericolo mortale.
Possiamo ben dire che ogni preda ha una simile sensibilità alle attenzioni che le si rivolgono; ed anche ogni predatore deve averla, per poter cogliere il momento in cui lo sguardo della preda si rende conto del pericolo.
Forse anche nell'uomo rimane, benché non più utilizzato per il suo scopo originale, un simile apparato di sensibilità alle attenzioni altrui: non più rivolto principalmente alla difesa extra-specifica ma 'dirottato' alla socialità, alla sessualità ed alla sicurezza personale da aggressioni inter-specifiche. (che poi sono più collegate di quel che sembra)

Così non sarebbe niente di immateriale ad attivare la sensazione di sentirsi osservati, ma una specifica predisposizione dei sensi che riuscirebbero a cogliere una determinata classe di stimoli anche con intensità tali che in altri casi rimarrebbero sub-limine.
E' ovvio che un meccanismo tanto sensibile è suscettibile di false attivazioni causate da stimoli dovuti al "rumore di fondo". (dal punto di vista selettivo tali falsi allarmi, benché energeticamente dispendiosi, sono ben ripagati dall'aumento delle probabilità di sopravvivenza)
Sono anche possibili attivazioni dovute ad abreazioni di altri sistemi che con esso interagiscono (nell'uomo principalmente il super-ego freudiano - o da un'altra prospettiva, il 'grande altro' di Lacan).

Da quanto detto deriva la possibilità di una interpretazione (ovviamente non esaustiva, nè principale) di casi quali:

- il raggio dagli occhi: l'attenzione 'materializzata', resa visibile - (vedi anche l'ipnotismo così come recepito dalla cultura popolare)

- il motivo ricorrente della statua che sembra seguire l'osservatore con lo sguardo, o del quadro con i buchi negli occhi per permettere ad una persona di spiare una stanza nascosto dietro ad esso: gli occhi sono proprio la classe di segnali che attivano il meccanismo ricettore

-l'invisibilità: specialmente in certe accezioni si tratta non di un'invisibilità ottica quanto della capacità di limitare al massimo la categoria di stimoli attivatori

-le auree: si tratterebbe,in questo contesto, dell'area in cui il meccanismo esercita la sua funzione; quindi un sfera d'influenza che potrebbe coincidere grossomodo con la distanza personale o sociale della prossemica.
Già nella prima infanzia per i bambini autistici i contatti oculari sono molto diminuiti rispetto alla norma.

-telecamere e microspie: sono la declinazione moderna degli occhi delle statue e dei quadri: la loro 'realtà' dà l'appiglio ad un acuirsi patologico della sensibilità all'attenzione, osservabile in massimo grado in aspetti della paranoia quali la mania di persecuzione e la convinzione di essere osservati. (ovviamente ci si riferisce solo al modo tramite il quale tali aspetti si manifestano e non all'eziologia dell'intera psicosi) Si veda anche l'immagine dell'occhio onnisciente di Dio nel cielo.

-il malocchio e l'uso apotropaico del simbolo dell'occhio: in base a quanto sopra va rilevato che l'occhio è sia un simbolo attivo (conoscenza e quindi potere, dominio su quanto osservato) che passivo (essere osservati e conoscenza del fatto di essere osservati); tale polarità spiega l'apparente ambiguità dell'uso del simbolo occhio. (specialmente in questo caso questo aspetto è ben lontano dall'esaurire le sfaccettature del simbolo occhio; tuttavia ci dà un appoggio in più nel cammino per la sua comprensione)

-le macchie 'ad occhio' nella pigmentazione di certi animali: anche quelle più 'stilizzate' sono efficaci nell'inibire la predazione, agendo proprio tramite i 'circuiti' che abbiamo esposto sopra. Anche nell'uomo gli occhi sono, assieme alla bocca, l'elemento che più fa scattare l'associazione di una figura al modello 'faccia' e da qui al riconoscimento intra-specifico. Persino  : )  viene 'riconosciuto' a prima vista come una faccia; si veda anche il gioco in cui davanti ad un bimbo ci si nasconde gli occhi, con lo stesso effetto di nascondersi da lui.

E' istruttivo provare a fare un piccolo esperimento: nel camminare in mezzo alla gente alzate anche solo di pochi gradi lo sguardo: come ogni atto 'magico' (nel senso che agisce ad un livello più vicino alla radice rispetto alla coscienza) ciò non avrà soltanto un effetto sulla gente ma anche su voi stessi. In fondo il gioco degli sguardi è uno dei primi contatti che si prende per stabilire le gerarchie sociali.


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