martedì 15 febbraio 2011
Atropo (l'angelo della morte)
venerdì 11 febbraio 2011
In cerca d'un oasi
"Perchè Dio non ascolta le nostre preghiere?"
Forse è soltanto stufo, annoiato: analizzate le vostre preghiere!
Esse si compongono di lagne, se non di rimproveri velati:
Dio, perchè hai fatto morire quel tale? Dio, fa cessare la siccità! Dio, sono infelice (di ciò che mi hai dato)...
Oppure son elenchi di vostri desideri, di favori di poco conto chiesti al Dio vivente, simili ad una lista della spesa: Signore, dammi la forza, dammi la saggezza, mostrami la retta via (se mi perderò sarà quindi colpa tua), dammi questo, dammi quest'altro...
In cambio lo si loda con blandizie e sfoggi di sottomissione che non sedurrebbero il più avido di complimenti dei tiranni: Sei forte, sei potente, tua è la gloria... sempre, beninteso, se mi accordi i favori che ti ho chiesto.
"Preghiera" è addirittura diventato, nel linguaggio corrente, sinonimo di "richiesta un po' scocciante di favori"!
Possibile che non ci sia un poeta capace di comporre preghiere che non siano così meschine, noiose, così miseramente umane?
Allora forse Dio tornerebbe ad ascoltare la voce dell'Uomo che lo chiama.
Forse è soltanto stufo, annoiato: analizzate le vostre preghiere!
Esse si compongono di lagne, se non di rimproveri velati:
Dio, perchè hai fatto morire quel tale? Dio, fa cessare la siccità! Dio, sono infelice (di ciò che mi hai dato)...
Oppure son elenchi di vostri desideri, di favori di poco conto chiesti al Dio vivente, simili ad una lista della spesa: Signore, dammi la forza, dammi la saggezza, mostrami la retta via (se mi perderò sarà quindi colpa tua), dammi questo, dammi quest'altro...
In cambio lo si loda con blandizie e sfoggi di sottomissione che non sedurrebbero il più avido di complimenti dei tiranni: Sei forte, sei potente, tua è la gloria... sempre, beninteso, se mi accordi i favori che ti ho chiesto.
"Preghiera" è addirittura diventato, nel linguaggio corrente, sinonimo di "richiesta un po' scocciante di favori"!
Possibile che non ci sia un poeta capace di comporre preghiere che non siano così meschine, noiose, così miseramente umane?
Allora forse Dio tornerebbe ad ascoltare la voce dell'Uomo che lo chiama.
martedì 8 febbraio 2011
Sul voler diventar divini
E' desiderio di asceti e mistici l'esser tutt'uno con Dio, divenir Dio essi stessi; e davvero non è difficile, chè basta abbandonare tutto ciò che di umano si ha.
Eppure la tendenza di un albero è di salire verso il cielo; ma il seme di quell'albero deve cadere per fruttificare.
Che si direbbe di un seme che non vuole abbandonare il frutto, o di uno che vuole ritornare verso il cielo, rifiutando la terra?
Per cadere furono creati, per gettar radici nella sporca terra. E allora dal loro germoglio sorgerà un nuovo albero.
Eppure la tendenza di un albero è di salire verso il cielo; ma il seme di quell'albero deve cadere per fruttificare.
Che si direbbe di un seme che non vuole abbandonare il frutto, o di uno che vuole ritornare verso il cielo, rifiutando la terra?
Per cadere furono creati, per gettar radici nella sporca terra. E allora dal loro germoglio sorgerà un nuovo albero.
venerdì 4 febbraio 2011
Due mani e un gesto
V'era un tempo in cui lo spirito camminava sulle vaste pianure della terra; fu in quel tempo che nacque e vide la luce un consacrato, e grande era lo splendore in quel fanciullo; prodigi annunciarono la sua venuta, pastori e greggi si prostrarono ai suoi piedi.
Venne dunque dall'Idumea un artigiano, il cui nome non arrivò mai a noi: v'è chi dice che fosse Edom in persona, Re bandito nel suo stesso Regno.
E stentò un inchino l'artista dinnanzi al fanciullo; e a malapena trattenne il sorriso quando il bambino s'accigliò malevolmente; ma questi trattenne le guardie dal percuotere lo straniero, e disse: "Di certo il tuo sguardo non è così vasto da ammettere l'immensità su cui s'affaccia; eppure anche per distruggere il vostro sguardo venni, e per donarvene uno nuovo, d'Abisso".
Davvero l'artigiano non capì le parole del figlio divino; sembrava soltanto intento a chinar la testa per celare il suo scherno. Disse infine: "Non distruggere il mio sguardo, giovane padrone. Ecco: ti ho portato dalle mie terre un dono". E mentre tagliava il silenzio con quelle parole, estrasse dalla sua sacca una statua, d'argilla, e un pennello, e dell'inchiostro.
Non avrebbe reso che pochi danari, al mercato, quel lavoro: era plasmato da mani inesperte, e crepe su di esso rivelavano un fuoco troppo violento nel forno del suo paese. E nonostante sul volto dell'artigiano vi fossero i segni della saggezza, con il pennello non fece altro che tracciare una lettera, Shin,
sulla fronte del feticcio; e una goccia che colava sembrò fatica e sudore, lagrime nere.
Di nuovo si mossero le guardie per scacciare l'uomo: ma se ne andò da solo, mestamente, e sembrò che quel mattino mai nessuno fosse venuto in visita.
Disse infine il bambino all'idolo: "Questa piccola mano che ora stringo in un pugno, questa tenera porzione di tremenda eternità, sarà spada per voi immagini antiche, distruzione di quanto fu già scritto".
Rispose la statua: "Di terra e sangue è il tuo soffio di vipera; sulla terra e sul sangue poggia il tuo trono".
Tuonò il fanciullo! "Infame abominio! Opera stolta! Non vedi la legge nuova che io porto, il fragore della rivoluzione?"
E spiegò la legge nuova fino a sera, e le guardie si prostrarono ai suoi piedi, in meraviglia. Ma sorrise soltanto l'abominio, sorrise soltanto: quelle nuove verità le aveva udite da tempo sulla bocca di infinite albe, infiniti tramonti.
E fu colmo d'ira il cuore del bambino, e in quell'ira traboccante levò il pugno, mandò in frantumi il dono: oracolo dei secoli a venire.
Ma accadde che una scheggia della statua si conficcò sotto l'unghia rosata del principe, e restò lì sino alla sua morte, tormentandolo di dolori, e d'infezioni: oracolo dei secoli venturi.
Venne dunque dall'Idumea un artigiano, il cui nome non arrivò mai a noi: v'è chi dice che fosse Edom in persona, Re bandito nel suo stesso Regno.
E stentò un inchino l'artista dinnanzi al fanciullo; e a malapena trattenne il sorriso quando il bambino s'accigliò malevolmente; ma questi trattenne le guardie dal percuotere lo straniero, e disse: "Di certo il tuo sguardo non è così vasto da ammettere l'immensità su cui s'affaccia; eppure anche per distruggere il vostro sguardo venni, e per donarvene uno nuovo, d'Abisso".
Davvero l'artigiano non capì le parole del figlio divino; sembrava soltanto intento a chinar la testa per celare il suo scherno. Disse infine: "Non distruggere il mio sguardo, giovane padrone. Ecco: ti ho portato dalle mie terre un dono". E mentre tagliava il silenzio con quelle parole, estrasse dalla sua sacca una statua, d'argilla, e un pennello, e dell'inchiostro.
Non avrebbe reso che pochi danari, al mercato, quel lavoro: era plasmato da mani inesperte, e crepe su di esso rivelavano un fuoco troppo violento nel forno del suo paese. E nonostante sul volto dell'artigiano vi fossero i segni della saggezza, con il pennello non fece altro che tracciare una lettera, Shin,
sulla fronte del feticcio; e una goccia che colava sembrò fatica e sudore, lagrime nere.
Di nuovo si mossero le guardie per scacciare l'uomo: ma se ne andò da solo, mestamente, e sembrò che quel mattino mai nessuno fosse venuto in visita.
Disse infine il bambino all'idolo: "Questa piccola mano che ora stringo in un pugno, questa tenera porzione di tremenda eternità, sarà spada per voi immagini antiche, distruzione di quanto fu già scritto".
Rispose la statua: "Di terra e sangue è il tuo soffio di vipera; sulla terra e sul sangue poggia il tuo trono".
Tuonò il fanciullo! "Infame abominio! Opera stolta! Non vedi la legge nuova che io porto, il fragore della rivoluzione?"
E spiegò la legge nuova fino a sera, e le guardie si prostrarono ai suoi piedi, in meraviglia. Ma sorrise soltanto l'abominio, sorrise soltanto: quelle nuove verità le aveva udite da tempo sulla bocca di infinite albe, infiniti tramonti.
E fu colmo d'ira il cuore del bambino, e in quell'ira traboccante levò il pugno, mandò in frantumi il dono: oracolo dei secoli a venire.
Ma accadde che una scheggia della statua si conficcò sotto l'unghia rosata del principe, e restò lì sino alla sua morte, tormentandolo di dolori, e d'infezioni: oracolo dei secoli venturi.
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martedì 1 febbraio 2011
Forze nascoste
I nostri anziani raccontano di come un tempo si credeca che sottoterra vivessero enormi serpenti, simili a vermi ciechi - e dicevano che dai loro sussulti privi d'amore fossero nate le montagne, dai loro scoppi d'ira i laghi.
E sostenevano ch'era proibito adorarli, e stolto pregarli, e inutile.
Ma nelle stalle, nelle veglie d'estate, ancora si possono udire voci bagnate dal vino sussurrare lamenti agli antichi dèi morti.
E sostenevano ch'era proibito adorarli, e stolto pregarli, e inutile.
Ma nelle stalle, nelle veglie d'estate, ancora si possono udire voci bagnate dal vino sussurrare lamenti agli antichi dèi morti.
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Volta
Lo scorrere del tempo è causato dalla memoria
10. Il ladro
E' un vento che ruba la sabbia alla clessidra.
.
T'addormenta con carezze - ed al risveglio sei solo.
.
Graffia l'anima e la sgrava di ciò che l'è più caro.
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T'addormenta con carezze - ed al risveglio sei solo.
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Graffia l'anima e la sgrava di ciò che l'è più caro.
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